Telemaco incontra Nestore nel palazzo del vecchio re, dettaglio da un cratere pugliese della metà del 4 ° secolo aC, visualizzato nella Staatliche Museen, Berlino. Fonte: www.pinterest.com. Da nota http://cas.umt.edu/english/joyce/notes/020075samewisdom.htm
They were sorted in teams and Mr Deasy came away stepping over wisps of grass with gaitered feet. When he had reached
the schoolhouse voices again contending called to him. He turned his angry white moustache...............................continua
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Hecamede versa da bere a Nestore (secondo una usuale interpretazione scolastica della scena ) nel tondo di una coppa Attica del ca. 490 AC. Fonte: Wikimedia Commons. Ecamede Figlia di Arsinoo, venne catturata da Achille nella conquista dell'isola di Tenedo mentre lo stesso si recava a Troia. Successivamente divenne schiava di Nestore.
Erano divisi in squadre e Mr Deasy avanzava passando
sui radi fili d'erba con i piedi inguainati nelle ghette. Quando ebbe raggiunto la scuola, le voci di nuovo in contesa lo chiamarono. Egli volse i
bianchi baffi irosi.
- Cosa c’è ora? gridava continuamente senza ascoltare.
-Cochrane e Halliday sono nella stessa squadra signore,
gridò Stephen.
- Vuole attendere un momento nel mio studio, disse Mr Deasy, finché non abbia ristabilito l’ordine qui.
E nel riattraversare indaffarato il campo la sua voce da vecchio gridava severa:
- Cosa succede? Cosa c’è?
Le loro voci acute gli gridavano intorno da ogni lato: le loro molte forme lo serravano, mentre il sole sgargiante scialbava il miele dei suoi capelli mal tinti.
Un’aria stantia di fumo gravava nello studio insieme all’odore del cuoio logoro e scolorito delle sedie. Come il primo giorno che egli contrattò con me qui.
Un passo rapido sul lastrico del porticato e nel corridoio. Soffiando all’infuori i suoi radi baffi Mr Deasy si fermò al tavolo.
- Anzitutto, la nostra piccola questione amministrativa, disse.
Estrasse dalla giacca un portafogli assicurato da un cinturino di cuoio. Si aprì di scatto, ed egli ne estrasse due banconote, una delle quali formata da due metà unite insieme, e le depose con cura sul tavolo.
- Due, disse, fermando il cinturino e riponendo il portafogli.
E ora la camera blindata per l'oro. La mano imbarazzata di Stephen si mosse sulle conchiglie ammucchiate nel freddo mortaio di pietra: buccini e monete, cauri e conchiglie maculate: e questa, attortigliata come il turbante di un emiro, e questa, valva del nicchio di San Giacomo. Il gruzzolo di un antico pellegrino, morto tesoro, vuoti gusci di conchiglie.
Una sovrana cadde, lucente e nuova, sulla soffice peluria del
tappeto del tavolo.
- Tre, disse Mr Deasy, rigirando in mano il suo forzieretto metallico. Questi sono aggeggi pratici. Vede. Questo è per le sovrane. Questo per gli scellini, le monete da sei pence, le mezze corone. E qui le corone. Vede.
Ne fece uscire due corone e due scellini.
- Tre e dodici, disse. Credo che troverà che il conto torna.
- Grazie, signore, disse Stephen, raccogliendo insieme il denaro con timida fretta e infilandolo tutto in una tasca dei pantaloni.
- Grazie di nulla, disse Mr Deasy. Se lo è guadagnato.
La mano di Stephen, di nuovo libera, tornò al vuoti gusci di conchiglia. Simboli anche di bellezza e di potenza. Un rigonfio nella tasca. Simboli insozzati d avidità e infelicità.
- Non li porti così, disse Mr Deasy. Li tirerà fuori da qualche parte e li perderà. Compri uno di questi arnesi. Li troverà molto
A Mulligan, nove sterline, tre paia di pedalini, un paio di stivali, cravatte. A Curran, dieci ghinee. A McCann, una ghinea. A Fred Ryan, due scellini. A Temple, due colazioni. A Russell, una ghinea, a Cousins, dieci scellini, a Bob Reynolds, mezza ghinea, a Kohler, tre ghinee, a Mrs McKernan, cinque settimane di pensione. Il rigonfio che ho in tasca è inutile.
Sargent, il solo che avesse indugiato, si fece avanti con lentezza tenendo un quaderno aperto. I capelli arruffati e il collo scarno davano a divedere un che di tardo e attraverso le lenti appannate deboli occhi si levavano imploranti. Sulla gota, smorta ed esangue, c’era una lieve macchia d’inchiostro, a forma di dattero, recente e umida come una traccia di lumaca.
Porse il quaderno. In cima alla pagina stava scritta la parola Operazioni. Sotto c’erano delle cifre sbilenche, in fondo una firma contorta, con gli occhielli delle lettere ciechi e una macchia. Cyril Sargent: firma e suggello.
- Mr Deasy mi ha detto di riscriverle tutte, disse e di fargliele vedere, professore.
Stephen toccò gli orli del quaderno. Nullità.
- Ha capito ora come si fanno? domandò.
- Dall’esercizio undici al quindici, rispose Sargent. Mr Deasy ha detto che dovevo
copiarle dalla lavagna signore.
- Le sa fare da sé? domandò Stephen.
- No, professore.
Brutto e nullo: collo magro e capelli arruffati e una macchia d’inchiostro, una traccia di lumaca. Eppure c'era una che lo aveva amato, portato in braccio e dentro al cuore. Se non fosse stato per lei la maratona del mondo lo avrebbe schiacciato sotto i piedi, spiaccicata lumaca senza vertebre.Lei aveva amato quel debole sangue acquoso trasfuso dal proprio. Era dunque vero? La sola cosa autentica della vita? Sul corpo prostrato della madre cavalcò nel suo santo zelo il focoso Colombano. Essa non era più: lo scheletro tremante di un ramoscello bruciato nel focolare, un sentor di legno di rosa e di cenere umida. Aveva impedito che lo schiacciassero sotto i piedi; e se ne era andata, senza quasi essere esistita. Un’animuccia andata in cielo: e in una landa sotto l’ammiccare delle stelle una volpe, rosso fortore di rapina nel pelo, con occhi lustri spietati grattava nella terra, ascoltava, grattava via la terra, ascoltava, grattava e grattava.
Con lunghi tratti confusi Sargent ricopiò i dati. Sempre in attesa di una parola di aiuto, la mano moveva fedelmente i simboli incerti, un debole color di vergogna balenava sotto la pelle opaca. Amor matris: genitivo soggettivo e oggettivo. Col sangue debole e il latte sieroso l’aveva nutrito e aveva nascosto agli occhi degli altri le sue fasce di neonato.
Ero come lui, queste spalle cadenti, questa sgraziataggine. La mia infanzia si china qui accanto a me. Troppo distante perché io possa posarvi la mano anche una sola volta, o lievemente. La mia è distante e la sua segreta come i nostri occhi. Silenziosi, pietosi, segreti sono insediati nei palazzi bui di entrambi i nostri cuori: segreti stanchi della loro tirannide: tiranni disposti a essere detronizzati.
L’operazione era fatta.
- E’ semplicissimo, disse Stephen alzandosi.
- Sì, professore. Grazie, rispose Sargent.
Asciugò la pagina con un sottile foglio di carta assorbente e riportò il quaderno al suo banco.
- Meglio che adesso lei vada a prendere la mazza e raggiunga gli altri, disse Stephen, seguendo verso la porta la figura sgraziata del ragazzo.
- Sì, signore.
Nel corridoio si sentì il nome del ragazzo, chiamato dal campo.
Dev’essere un movimento, allora, un’attualità del possibile in quanto possibile. La frase di Aristotele si formò fra i versi barbugliati e andò alla deriva fino al silenzio studioso della biblioteca di Sainte Geneviève dove aveva letto, al riparo da una Parigi peccaminosa, per sere e sere. Gomito a gomito un esile siamese compulsava un manuale di strategia. Cervelli pasciuti e pascentisi intorno a me: sotto lampade a incandescenza, infilzati, con un tenue palpitare delle antenne: e nel buio della mia mente un bradipo del mondo sotterraneo, riluttante, schivo di luce, che muove le sue squamose volute di drago. Pensiero è il pensiero del pensiero.Tranquilla luminosità. L’anima è in certo modo tutto ciò che è: l’anima è la forma delle forme. Tranquillità subitanea, vasta, incandescente: forma delle forme.
Talbot ripeteva:
- Per la dolce possanza di Colui che camminò sulle onde.
Per la dolce possanza...
- Volti pure, disse tranquillamente Stephen. Io non vedo niente.
- Che cosa, professore? domandò candidamente Talbot, chinandosi in avanti. La sua mano voltò la pagina. Si ritrasse indietro e riprese perché proprio allora s’era ricordato. Di colui che camminò sull'onde. Anche qui su questi cuori vili si stende la sua ombra e sul cuore e sulle labbra di chi lo irride e sulle mie. Si stende sulle facce bramose dl coloro che gli offrirono l’obolo del tributo.A Cesare quel che è di Cesare,a Dio quel che è di DioUn lungo sguardo degli occhi oscuri, una frase enigmatica da tessere e ritessere sui telai della chiesa. Sì.
- Sì, professore. Alle dieci c'è hockey,professore.
- Mezza vacanza, professore. Giovedì.
- Chi sa rispondere a un indovinello? domandò Stephen.
Ammonticchiavano i libri, crepitano le matite, fruscio di pagine. Accalcandosi in gruppo infilavano e affibbiavano le cinghie delle cartelle, con un allegro vociferare:
- Un indovinello, professore? Lo dica a me, professore.
- A me, a me, professore.
- Uno difficile, professore.
- Ecco l'indovinello, disse Stephen:
Cantò il gallo al mattino
Il cielo era turchino:
In cielo i batocchi
Davan undici rintocchi.
E’ ora che quest’animuccia
In cielo vada a cuccia.
- Che cos'è?
- Che cos’è, professore?
- Ripeta, professore. Non abbiamo sentito.
I loro occhi si slargavano mentre i versi venivano ripetuti. Dopo una pausa Cochrane disse:
Si alzò e ruppe in una risata nervosa a cui le loro grida fecero un’eco di costernazione. Un bastone batté alla porta e una voce nel corridoio annunziò:
- Hockey!
Sciamarono, sgusciando dai banchi, scavalcandoli. In un baleno erano spariti e dal ripostiglio giunse uno sbattere di mazze e un parapiglia di scarpe e di voci ***************************
Per leggere Il testo inglese e quello italiano a confronto