Ombre silvane attraversavano fluttuando silenziose la pace mattutina
dalla cima della scala verso il mare dove egli teneva fisso lo sguardo.
Sulla spiaggia e più al largo biancheggiava lo specchio d'acqua sommosso da piedi frettolosi dai leggeri calzari. Bianco seno di fosco mare. Vocaboli paralleli, a due a due. Mano che pizzica le corde dell'arpa congiungendo gli accordi paralleli. Biancondose appaiate parole baluginanti sulla fosca marea.
I suoi segreti: vecchi ventagli di piume, carnets di ballo con le nappe, incipriati di muschio, un fronzolo di chicchi d’ambra nel cassetto chiuso a chiave. Una gabbia da uccelli era appesa alla finestra soleggiata di casa sua quand'era bambina. Aveva sentito il vecchio Royce cantare nell’operetta di Turko il terribile e riso con gli altri quand'egli cantava:
Fantomatica gioia, piegata e messa via. profumata di muschio.
Non appartarti più per ruminare
Piegata e messa via nella memoria della natura con i suoi balocchi. Ricordi gli assalivano il cervello rimuginante. Il bicchier d'acqua del rubinetto di cucina quando si era accostata al sacramento. Una mela svuotata, piena di zucchero caramellato, a rosolarsi per lei sul focolare in una buia sera d'autunno. Le sue unghie affusolate rosse del sangue di pidocchi strizzati di sulle camicie dei bambini.
In un sogno, silenziosamente, era venuta a lui,il corpo consumato nel molle sudario spandeva un sentore di cera e di legno di rosa, I'alito chino su di lui con mute segrete parole, un lieve odore di ceneri bagnate.
"Misurarsi con un capolavoro della letteratura è sempre una fatica improba. Figurarsi quando si tratta di un romanzo sui generis come l’Ulisse di Joyce, nel quale la trama, per così dire, è costituita dal girovagare di alcuni personaggi attraverso Dublino in un giorno normalissimo d’inizio Novecento ed alla narrazione dei fatti è spesso intercalato il monologo interiore dei personaggi.