Tutto James Joyce: Foto,video, links

 21/11/23

https://www.iltascabile.com/letterature/essere-umani-essere-incerti/


LETTERATURE

ENRICO TERRINONI / IMMAGINE: GEORGES LACOMBE, "BLUE SEASCAPE, WAVE EFFECT", DETTAGLIO. WIKICOMMONS. 27.11.2023

Essere umani, essere incerti

Da Virginia Woolf a Italo Calvino, una riflessione sulle onde interpretazionali.

Enrico Terrinoni Cattedra di Letteratura Inglese - Università per Stranieri di Perugia 2022/2025, Professore in residence, Accademia Nazionale dei Lincei (Centro Linceo interdisciplinare "Beniamino Segre"), Affiliato del Centro di Studi Italiani dell'Università di Notre Dame, Presidente della Fondazione Italiana James Joyce.


Vorrei parlare di Italo Calvino, ma meglio iniziare da Virginia Woolf. “Devo liberarmi da queste acque. Ma si riversano su di me, mi travolgono con le loro grandi spalle; rigirata, rovesciata, resto distesa tra queste lunghe luci, queste lunghe onde, questi sentieri senza fine, con le persone che inseguono, inseguono”. Sono parole tratte dal romanzo forse più bello della scrittrice inglese. Non ne dirò il titolo, non serve. Lo pronunciano quelle stesse frasi. Frasi di incertezza, indeterminazione, e dunque umane.

È stato detto che in quanto uomini non siamo isole, forse perché, da esseri pensanti e interpretanti, siamo più simili alle onde. O almeno, i nostri pensieri lo sono, quando si riversano ribelli nella mente. Una mente in cui regna il silenzio. In One more cup of coffee Bob Dylan ci parla di qualcuno che scruta nel futuro ma che non ha mai imparato a leggere o a scrivere; che non ha libri sul suo scaffale, ma il cui cuore è un oceano, misterioso e buio. Ecco, questo siamo davvero: misteriosi, bui. Ed è in tale buio mistero che si rimescolano le nostre onde-pensiero, ossia le nostre interpretazioni.

Quando gettiamo un sasso in acqua, partono immediatamente onde concentriche il cui esito, la cui fine, dipende dal posizionamento degli argini, delle rive. Il sasso è l’opera, e noi siamo le rive. Ed è il nostro posizionamento, la nostra localizzazione storica, geografica, culturale a determinare la lettura o le letture, tra le tante possibili. Dei libri, e dei fenomeni. Il sasso scatena nel bacino d’acqua dell’interpretabilità “onde interpretazionali” che ci raggiungono con densità e intensità dipendenti dal punti in cui ci troviamo. È per questo che, nel leggere i fenomeni del reale o anche i testi, conta molto più l’infrangersi dell’onda sull’argine che il sasso colpevole d’averla scatenata.

In termini cognitivi, ma anche comportamentali, conta più l’interazione con un oggetto che impatta su di noi che la meccanica scatenante il suo moto: conta più lo scontro, la deviazione, il nostro incunearci nell’oceano delle idee possibili che il momento in cui quelle idee sono state generate. Momento fondamentale, intendiamoci, ma oscuro e forse irrecuperabile, perché il sasso affonda, e più è ampio e profondo è il bacino dell’interpretabilità, più si rivelerà impossibile la sfida di immergersi per reperirlo.

Quel che ci resta, allora, è il nostro andare a sbattere con le idee generate. Come reagiamo, quel che ne facciamo, come le intendiamo, e anche come le rimettiamo in circolo. Tanto quel che le idee fanno a noi quanto quel che noi facciamo a loro, respingendo o rimandando indietro l’onda. Perché viviamo in un mondo di interazioni continue, e i fenomeni stessi non sono che il generarsi di relazioni tra loro, tramite conflagrazione.

In quanto uomini non siamo isole: da esseri pensanti e interpretanti, siamo più simili alle onde.

E ora arriviamo a Calvino. Quest’anno corre il suo centenario. Se n’è parlato tanto, e se ne parlerà ancora molto. Ma temo che spesso lo si faccia più in termini di passato che di futuro. Ciò, nonostante disponiamo di un suo testamento culturale, i “six memos for the new millennium” che normalmente chiamiamo “lezioni americane”.

Tra gli argomenti trattati dallo scrittore abbiamo l’esattezza, che non va però intesa in senso deterministico: non è ovvero da confondere col tentativo di rendere univoca la lettura delle sue opere. Tutt’altro. Combinata alle altre qualità da trasferire al nuovo millennio, l’esattezza diviene il modo “esatto” con cui aprire all’ambiguità, e dunque, alla molteplicità e alla relazionalità. Lo spiega nella prima delle sue lezioni: “nell’universo infinito della letteratura s’aprono sempre altre vie da esplorare, nuovissime o antichissime, stili e forme che possono cambiare la nostra immagine del mondo”. L’ambiguità avrebbe potuto essere un’altra lezione americana, ma in questo senso diciamo che Calvino aveva già dato, commissionando per Einaudi la traduzione di un grande libro del futuro, i Sette tipi di ambiguità di William Empson. Quei tipi formulati dal geniale critico inglese sono credo alla base anche delle lezioni americane, e introducono, nella percezione della letteratura, soprattutto quella delle opere aperte, un virus anti-deterministico, esattamente come fa la quantistica con la percezione del reale inteso quale rete di relazioni.

Le letture tendono per naturale spirito di autoconservazione a voler districare, a disambiguare, a rendere semplice il complesso. E invece l’arte, ma anche il reale, non ci parla quasi mai di semplicità, neanche quando lo fa con formule semplici e comprensibili. Addita invece sempre più quel “cuore misterioso e buio” a cui allude Dylan. Un reticolo di inestricabilità, potremmo definirlo. Un mondo di caos gioioso, solo apparentemente calmo; ossia, soltanto se osservato dal di fuori. Nei suoi promemoria per il millennio entrante, il nostro millennio, Calvino tenta di preservare quegli scarti di apertura, quegli ammiccamenti all’imponderabile che uniscono il reale e il letterario all’insegna del suo essere sempre sfuggente e non catturabile.

Come le onde. Come la gente che balla al suono del violino in una nota poesia di Yeats: “danzano come un’onda del mare”. Le onde ci parlano di molteplicità, poiché il mare è una “rete di relazioni” appunto tra onde, e questa “rete” può esser letta – ovvero con essa possiamo interagire – in maniera affine sia tramite un approccio letterario sia tramite uno, diciamo, scientifico. È Calvino stesso a incoraggiare la connessione, con i suoi continui riferimenti alla scienza. Nella prima lezione allude anche alla quantistica senza chiamarla per nome, dicendo che “oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del Dna, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall’inizio dei tempi”.

Le letture tendono per naturale spirito di autoconservazione a voler districare, a disambiguare, a rendere semplice il complesso: e invece l’arte, ma anche il reale, non ci parla quasi mai di semplicità.

Le particelle minime come i “quark” – non a caso parola inventata da Joyce – appaiono sfuggenti, sono invisibili all’occhio umano, ma su esse poggia la base del tutto. Calvino è consapevole che dietro al mondo solido che abbiamo davanti esiste, nascosto, un brulicare caotico di particelle in movimento. Il riferimento gli serve per introdurre Lucrezio e Democrito, l’idea del clinamen e del vagare incostante degli elementi minimi per comporre il mondo sempre diverso in cui viviamo:

al momento di stabilire le rigorose leggi meccaniche che determinano ogni evento, egli sente il bisogno di permettere agli atomi delle deviazioni imprevedibili dalla linea retta, tali da garantire la libertà tanto alla materia quanto agli esseri umani.

Da questa considerazione scientifica ma anche poetica Calvino trae conseguenze letterarie: “la poesia dell’invisibile, la poesia delle infinite potenzialità imprevedibili, così come la poesia del nulla nascono da un poeta che non ha dubbi sulla fisicità del mondo”. Quindi, un visibile che nasconde l’invisibile, sebbene le due sfere non si neghino l’un l’altra, poiché sono la condizione dell’esistenza reciproca. Allargando il campo spiega poi che “tanto il Lucrezio quanto in Ovidio la leggerezza è un modo di vedere il mondo che si fonda sulla filosofia e sulla scienza”, con le dottrine di Epicuro a sostenere la poesia di Lucrezio e quelle di Pitagora ad animare la poesia di Ovidio.

A questo punto urge una chiosa: leggo spesso di scienziati che delegittimano la filosofia e la creatività artistica, ma raramente mi capita di leggere il contrario. Ora, in un mondo di cambiamenti epocali, in cui l’intelligenza artificiale minaccia quella naturale, io sono convinto che i campi della filosofia e dell’arte saranno in futuro quelli meno minacciati, e vedo persino la possibilità di un ritorno a un nuovo umanesimo, in cui le scienze e le arti sapevano compenetrarsi, comunicare e guidare una società in continua metamorfosi.

La rete di relazioni che siamo chiamati a indagare è precisamente quella molteplicità che Calvino intende quale tema chiave del romanzo contemporaneo, e che è anche il filo rosso della nostra contemporaneità:

nella mia prima conferenza ero partito dai poemi di Lucrezio e di Ovidio e dal modello d’un sistema d’infinite relazioni di tutto con tutto che si trova in quei due libri così diversi. In questa credo che i riferimenti alle letterature del passato possano essere ridotti al minimo, a quanto basta per dimostrare come nella nostra epoca la letteratura sia venuta facendosi carico di questa antica ambizione di rappresentare la molteplicità delle relazioni in atto e potenziali.

Relazioni in atto e potenziali è l’affermazione chiave, che di nuovo mi porta a parlare di quantistica. Parlando dei brevi scritti di Gadda – e si cita ad esempio la famosa ricetta per il risotto alla milanese o un testo dedicato all’edilizia e all’adozione del cemento armato al posto dei mattoni vuoti, con l’effetto che ora si sentono assai di più i rumori e le voci degli appartamenti accanto – Calvino dice che “ogni minimo oggetto è visto come il centro d’una rete di relazioni che lo scrittore non sa trattenersi dal seguire, moltiplicando i dettagli in modo che le sue descrizioni e divagazioni diventano infinite”. Sembra un riferimento preciso a quella che viene chiamata, in quantistica, “interpretazione relazionale”, che intende appunto la teoria dei quanti, nelle parole di Carlo Rovelli, in quanto teoria di come le cose si influenzino a vicenda.

Abbiamo poi l’importanza dell’osservazione stessa come parte dell’evento. Già agli albori della quantistica ci si è resi conto di come l’osservazione, la misurazione, influisca sull’esperimento e non sia neutra. Negli studi culturali sappiamo che il critico non è mai estraneo al fenomeno che discute. Calvino è consapevole di questo ruolo attivo dell’osservatore e dice, sempre riguardo a Gadda: “Prima ancora che la scienza avesse ufficialmente riconosciuto il principio che l’osservazione interviene a modificare in qualche modo il fenomeno osservato, Gadda sapeva che ‘conoscere è inserire alcunché nel reale; è, quindi, deformare il reale”. La discussione poi coinvolge l’altro scrittore-ingegnere, Robert Musil, e secondo Calvino un confronto tra i due deve “registrare [un] dato comune a entrambi: l’incapacità a concludere”.

“Molteplice” significa plurale, ma preserva qualcosa in più in termini generativi: sembra alludere a uno status di infinita moltiplicabilità, non alla stasi di una situazione plurale.

Siamo nell’ambito dell’opera aperta ovviamente, e il passo fino a Proust, Joyce e tanti altri è breve. Passa ancora attraverso un rapporto con la scienza, con la sua apertura “scettica al dubbio”. Calvino parla di “scetticismo attivo” e di una “scommessa nell’ostinazione a stabilire relazioni tra i discorsi e i metodi e i livelli”. Il che lo porta a quella che è forse una delle tante conclusioni (parola intesa qui come una delle possibili fini del ragionamento ma anche dei possibili fini) ossia che “la conoscenza come molteplicità è il filo che lega le opere maggiori tanto di quello che viene chiamato modernismo quanto di quello che viene chiamato il postmodern”. Calvino auspica che questa nuova intenzione di conoscenza come molteplicità continui “a svolgersi nel prossimo millennio”.

È un augurio ma anche una profezia inverata negli esiti pratici della quantistica, ad esempio, ma anche dalle infinite riformulazioni artistiche, anche di opere del passato, le riscritture, gli adattamenti, le nuove strade ermeneutiche. L’esito che Calvino auspica è l’esito della conoscenza intesa come procedimento e non come prodotto finale: di qui il passaggio dall’enciclopedismo chiuso all’enciclopedismo aperto. In questo transito da medioevo a futuro, entra in ballo di nuovo Joyce.

Per Calvino lo scrittore irlandese “ha tutte le intenzioni di costruire un’opera sistematica e enciclopedica e interpretabile su vari livelli secondo l’ermeneutica medievale. Questo in Ulisse per poi arrivare alla “molteplicità polifonica nel tessuto verbale del Finegans Wake”. La riflessione su Joyce è seguita da belle pagine su Borges e sulla simultaneità: “un tempo plurimo e ramificato in cui ogni presente si biforca in due futuri”. Il che sembra annunciare la discussa “interpretazione a molti mondi” della quantistica, secondo cui ogni evento consiste in una sorta di punto di diramazione: viviamo in diversi rami dell’universo tutti reali ma non in grado di interagire tra loro.

Da ogni misurazione quantistica conseguirebbe la divisione dell’universo in realtà parallele, ognuna caratterizzata dai suoi risultati, sempre soggettivi. Evitando di entrare nel dibattito sull’affidabilità di questa teoria affascinante, ma sempre restando su Borges, Calvino parla infatti di una sua “idea d’infiniti universi contemporanei in cui tutte le possibilità vengono realizzate in tutte le combinazioni possibili”. Questa simultaneità l’aveva vista anche nello Zibaldone (parliamo della lezione sulla “rapidità”). Queste le note di Leopardi stesso riguardanti velocità nello stile: “la rapidità e la concisione dello stile piace perché presenta all’anima una folla d’idee simultanee, così rapidamente succedentisi, che paiono simultanee”.

Ecco il punto: idee che “paiono simultanee”, ma che non lo sono. Viviamo in un mondo in cui tanto, tutto sembra accadere “come in simultaneità”; ma il tempo non è assoluto: è legato allo spazio, alla collocazione, al posizionamento. Per questo non esistono eventi davvero simultanei; eppure, permane la percezione della simultaneità.

Molteplice significa plurale, ma preserva qualcosa in più in termini generativi: sembra alludere a uno status di infinita moltiplicabilità, non alla stasi di una situazione plurale. È la stessa frizione tra apparire ed essere. Tra caos calmo visto dall’esterno e moto caotico interiore. È questo un contrasto perenne, un accavallarsi di cavalloni che da un lato ci parla dell’impossibilità di isolare alcunché al fine di analizzarlo – dal momento che non viviamo di isolamenti, non essendo isole-menti – e dall’altro ci invita a tuffarci nel mare dell’interpretabile, non più alla ricerca del sasso che ha scatenato le onde, ma della sensazione di venire, come diceva Woolf, “rigirati, rovesciati” dalle loro “grandi spalle”



16/6 2023


2 febbraio 2022

Il 2 febbraio di cent'anni fa usciva a Parigi, l'Ulisse di James Joyce, edito da Shakespeare And Company con la sua mitica copertina azzurra.

Nello stesso giorno lo scrittore irlandese compiva 40 anni.

James Joyce: nel centenario dell’Ulisse il nipote dona una grande collezione di autografi all’università
Nel lascito anche una copia della poesia «Ecce Puer» scritta a mano da JJ per celebrare la nascita del figlio Stephen e un regalo di Natale alla moglie Nora

EMANUELA MINUCCI

Trovato su Youtube  su canale del TG2000


poesia e foto trovate su https://www.pangea.news/stephen-joyce-morto-ritratto/

Dall’oscurità del passato
Un figlio è nato.
Con gioia e dolore
È straziato il mio cuore.

Quiete nella sua culla
Le menzogne incarnate.
Possa l’amore e la pietà
Schiuderti gli occhi!

La giovane vita si respira
Sul vetro;
Il mondo che non era
Ora viene alla luce.

Un bambino dorme:
Un vecchio muore.
O, padre abbandonato,
Perdona tuo figlio!

Il nipote di Joyce, Stephen James Joyce, e sua moglie Solange hanno donato lettere e telegrammi tra i due influenti scrittori irlandesi, insieme a oggetti personali tra cui penne, anelli e un manoscritto della sua raccolta di poesie, all'Università di Reading



09/03/21 Trovati  sul blog

Durante la Grande Guerra Stanislaus fu coinvolto dai movimenti politici e come cittadino di una nazione nemica dal 1915 al 1918 venne internato nel campo di Katzenau in Austria mentre James riuscì a rifugiarsi nella neutrale Zurigo.
(Nella foto il campo di concentramento austriaco)

Lucia Joyce

Nora con lucia e Giorgio
Nonostante la nascita della piccola Lucia il 26 luglio,        l’estate del 1907 fu molto tormentata per la famiglia Joyce.
Non solo il loro unico sostentamento consisteva nel modesto stipendio di James alla Berlitz School, mancandogli richieste di lezioni private e di articoli giornalistici, ma si frammisero pure dei problemi di salute.
Afflitto da dolorose febbri reumatiche e da problemi oculistici, Joyce sarà ricoverato per un mese all’Ospedale municipale e a casa ne trascorrerà un altro di convalescenza. 
Nora stentava a riprendersi dal parto e dopo essere stata dimessa dall’ospedale con un misero sussidio di 25 corone, sofferse una serie di febbri che la costrinsero a sospendere l’allattamento della bambina.



                                                        +++++++++++++++++++++++++++++++++
13/01/21
"Facciamo che James Joyce non è morto il 13 gennaio 1941. Facciamo che non morirà mai. Facciamo che in questo libro ci sono i racconti più belli che siano mai stati scritti, soprattutto l’ultimo, ‘The Dead', il racconto perfetto". Su Twitter Sandro Veronesi, premio Strega 2020, sintetizza forse nel migliore dei modi il senso dell'anniversario di oggi, quando sono 80 anni dalla morte del grande scrittore irlandese, autore di opere fondamentali della letteratura di tutti i tempi, da ‘Ulisse‘ a ‘Gente di Dublino‘. Ma non solo.

Estratto da 

Ottant’anni fa, il 13 gennaio 1941, ci lasciava James Joyce, il celebre scrittore irlandese che forse più di tutti ha segnato la contemporaneità in particolar modo con la sua opera più nota, l’Ulisse. Romanzo monumentale che ha rappresentato la definitiva rottura con l’oggettività naturalista trasferendo in letteratura quel nuovo sistema di coordinate umane inaugurate nel ‘900 dalla relatività di Einstein e dalla psicanalisi di Freud.

Attorno all’opera più nota di Joyce nacque una produzione critica estremamente rigogliosa sia negli Stati Uniti che in Europa, sia per l’unicum squisitamente letterario e di grande sperimentazione linguistica e sia per il forte impatto sulla modernità che lo rese, come disse Carmelo Bene, “il libro della storia umana”

27/12/2020 
Estratto da:

IL CINEMA DI CARMELO BENE E IL MODERNISMO EUROPEO

Le matrici culturali del cinema di Bene vanno quindi cercate altrove, rispetto al cinema.

In questo, ci dà un forte aiuto la cronologia delle opere. Non solo il famigerato Cristo ‘63 era dedicato a Joyce, ma anche e soprattutto una delle prime esperienze di Bene con il mezzo filmico era un esplicito tentativo di adattamento di un testo di Eliot: si trattava de Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock, mediometraggio sperimentale realizzato nel 1967 da Nico D’Alessandria, con musiche di Luciano Berio e la voce narrante di Bene. Non si tratta di una mera coincidenza cronologica, di un primato unicamente temporale, perché Eliot, in maniera implicita o esplicita, continuerà a tornare in tutta la successiva esperienza teatrale, cinematografica, televisiva e radiofonica di Bene, tanto quanto James Joyce Joyce ed Ezra Pound.

Bene fu particolarmente esplicito in una intervista della RAI del 1988 sull’influenza che Joyce avrebbe avuto sulla sua ricerca artistica e sulla sua stessa vita: «l’Ulisse è soprattutto grandissimo cinema, tutto quello che il cinema dai fratelli Lumière in poi non è mai riuscito a fare lo ha fatto Joyce nell’Ulisse: queste sono immagini, immagini di prima [mano], si direbbe, mentre il cinema non fa altro che riferire l’immagine morta del set – dov’è il set in una pagina dell’Ulisse?». Questa riflessione, posta nella solita forma paradossale e provocatoria con cui Bene si esprimeva nelle interviste, sembra essere illuminante per comprendere una certa concezione dell’adattamento e della traduzione che attraversa tutta l’opera beniana: il romanzo per eccellenza di Joyce è «cinema» tanto quanto il cinema non ha saputo essere tale, il cinema che Bene realizza nell’arco di un quinquennio è un «anticinema» programmaticamente indirizzato a mostrare i limiti e le criticità del mezzo filmico, il teatro è teatro, ma anche altro da sé, rinvio a una dimensione letteralmente trascendente, in una certa concezione del termine.

In questo gioco di rinvii fra le diverse forme d’arte sembra collocarsi Carmelo Bene, sia come regista-ideatore sia come attore delle sue opere, in un teatro che prima è liturgia e poi sfocia organicamente nel video, in una ripresa televisiva che ne amplifica la comunicabilità dilatandone gli spazi e i tempi.

A livello di contenuti, di trama – per il poco che si possa parlare di trama in un suo film o in un suo spettacolo – Carmelo Bene ha attinto ai classici del teatro e della letteratura europea, all’immaginario religioso popolare, al melodramma e a una certa concezione del barocco. A livello di forma, tutte queste suggestioni, già molto variegate e ri-rilette alla luce di precedenti riletture novecentesche – l’Amleto è più Laforgue che Shakespare – sembrano essere filtrate attraverso una appropriazione a larghe manate di ciò che il modernismo europeo era ed era stato: la rabbia contro la pellicola, letteralmente calpestata da Bene sotto gli occhi divertiti del direttore della fotografia Mario Masini per alcune sequenze di Nostra Signora dei Turchi, fa il paio con la fine della sintassi in Joyce. Il montaggio forsennato a cui Bene convertì il suo montatore di fiducia Mauro Contini non era dissimile dallo «stupro del verso» nei poemi più noti di T.S. Eliot. La costruzione di una narrazione che va per impressioni piuttosto che per successioni di eventi è la cosa più vicina possibile a una trasposizione filmica dello stile del Joyce dell’Ulisse e di Finnegans Wake.

27/10/20



02/04/2020
L'inferno non è qui né lì L'inferno non è in alcun luogo L'inferno è duro da sopportare.
A Pag 643 

16/03/20


Caraid O'Brien, che ogni Bloomsday interpreta 
il monologo di Molly Bloom per Radio Bloomsday, 
nella sua camera da letto di Ulisse



Angeline Ball nel ruolo di Molly IN Bloom, 
diretto da Sean Walsh

13/11/19
https://www.brainpickings.org/2013/03/13/james-joyce-collected-poems-1937/
https://www.brainpickings.org/2015/02/02/carl-jung-ulysses-james-joyce-review-letter/
Carl Yung

https://www.brainpickings.org/2014/05/27/ulysses-mimmo-paladino/
Mimmo Paladino

https://www.brainpickings.org/2014/03/27/folio-society-finnegans-wake-john-vernon-lord/
https://www.brainpickings.org/2015/03/02/james-joyce-lady-gregory-letter/


26/07/19
Cultura. Le lettere di Ezra Pound a James Joyce e l’Ulisse come “sorgente di vita”
Joyce, Pound, Ford & Quinn 
is a photograph by Granger 
which was uploaded on December 11th, 2016.


13/03/19
Come Joyce ha morso la mano Yeats che gli ha dato da mangiare
Un giorno, Joyce fermò Yeats per la strada e si presentò. In precedenza, Yeats era stato avvertito di Joyce da George Russell, che gli scrisse: "È apparso il primo spettro di una nuova generazione, il suo nome è Joyce, ho sofferto di lui e vorrei che tu pure lo soffrissi".
Joyce e dora. Chi è quello che li precede?





19/02/19
"Nora, amore mio, vorrei che tu frustassi la mia carne nuda". James Joyce e le lettere erotiche alla moglie L'epistolario tra lo scrittore e sua moglie Nora testimonia amore passionale, gettando luce su alcuni aspetti della produzione joyciana
 

Lettere d'amore NSFW di James Joyce
13/3/19
https://www.noted.co.nz/life/travel/in-search-of-the-wife-and-muse-of-james-joyce/

19/12/18
Link trovati da 
www.facebook.com/photo.php?fbid=2273849402627942&set=a.523126951033538&type=3&theater

1)SVEVO, JOYCE: STORIA DI UN’AMICIZIA di Nicola Lagioia pubblicato lunedì, 20 agosto 2012 ·

2)CARLO SERAFINI La Conferenza di Svevo su Joyce

13/1/18


Joyce a Zurigo
Zurigo ha sfrattato James Joyce

31/1/15
Clicca sulla foto per leggere l'articolo
Biografia 
suit.wikipedia.org
JoycePhoto by Alex Ehrenzweig, 
James Joyce . Foto di C. Ruf, Zurigo, ca. 1918
Fonte: Cornell Joyce Collection
http://rmc.library.cornell.edu/joyce/writingchaos/index.html



La statua di Joyce sul Ponterosso del Canal Grande, a Trieste

17/5/14
Malattia Joyce

http://www.paleopatologia.it/articoli/aticolo.php?recordID=105

Segnalato da   in Siti e blog  -  18/set/2013

26/11/14
Programma di RAI sat "World Cinema" Trovato
sul Canale YT di Roberto Cantone https://www.youtube.com/user/UmbertoCantone
Titolo video

"James Joyce: il viaggio di «Ulisse»" - Di Ian Graham (2000 - Sub Ita).
Documentario sulle tracce di Joyce e del suo capolavoro.


22/5/15

30/6/15

        "James Joyce reading from "Finnegans Wake"


17/3/16

Nessun commento:

Posta un commento