II Episodio: l'intero testo e la Playlist con tutte le letture

Ulisse- II episodio intero: Nestore
versione originale inglese da  http://joyceproject.com/
Trad. Giulio De Angelis - Arnoldo Mondadori  Editore -
XI Edizione Medusa Agosto 1970

8/7/15
Link alla lettura ad alta voce dell'intero 2° episodio
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Testo dell'intero 2° episodio

1° Quadro: Una lezione di storia


- Taranto, professore.
- Benissimo. E allora?
- C'è stata una battaglia, professore.
- Benissimo. Dove?
La faccia vuota del ragazzo interrogò la finestra vuota.
Favoleggiata dalle figlie della memoria. E tuttavia in qualche modo ci fu anche se non come la memoria l’ha favoleggiata. Un’esclamazione d’impazienza, poi, tonfo delle ali trasmodanti di Blake. Odo il rumore di tutto lo spazio, vetro infranto e muratura crollante, e il tempo un’unica livida vampata finale. Che ci rimane allora?
- Non ricordo il luogo, professore, 279 a. C.
- Ascoli, disse Stephen, dando un’occhiata al nome e alla data sul libro con i suoi sfregi cruenti.
- Sì, professore. E disse: Un’altra vittoria come questa e siamo spacciati.
Quella frase il mondo se l’era ricordata. Ottusa distensione della mente. Da un colle a dominio di una pianura cosparsa di cadaveri un generale che parla ai suoi ufficiali, appoggiato a una lancia. Generale qualunque a ufficiali qualunque. Porgono orecchio.
- Lei, Armstrong, disse Stephen. Quale fu la fine di
Pirro?
- La fine di Pirro, professore?
- Io lo so, professore. Lo domandi a me, professore, disse Comyn.
- Aspetti. Lei, Armstrong. Sa qualcosa di
Pirro?
Un cartoccio di fichisecchi se ne stava acquattato nella cartella di Armstrong. Lui li appallottolava ogni tanto tra le palme e quietamente li inghiottiva. Minuzzoli aderivano alla pelle delle labbra. Fiato addolcito di ragazzo. Gente benestante, orgogliosi che il figlio maggiore fosse in marina. Vico Road, Dalkey.
- Pirro, professore? Pireo, un molo.
Tutti risero. Alta inamena malevola risata. Armstrong volse lo sguardo ai compagni, profilo di una stolida gaiezza. Tra un momento rideranno più forte consci della mia scarsa autorità e delle rette che i loro babbi pagano.
- Allora mi dica, fece Stephen, toccando col libro la spalla del ragazzo, che cos’è un molo.
- Un molo, professore, disse Armstrong. Una cosa che sporge tra le onde. Una specie di ponte. Il molo di Kingstown, professore.
Alcuni risero di nuovo: inameni, ma con intenzione. Due nell’ultimo banco bisbigliavano. Sì. Sapevano: senza mai aver imparato né mai essere stati innocenti. Tutti. Con invidia osservò le loro facce. Edith, Ethel, Gerty, Lily. Le loro simili, anche loro dai fiati addolciti di tè e marmellata, le risatine dei loro braccialetti nella zuffa.
- Il molo di Kingstown, disse Stephen. Sì, un ponte
fallito.
Le parole turbarono il loro sguardo.
- Come, professore? domandò Comyn. Un ponte
scavalca un fiume.
Per lo zibaldone di Haines. Nessuno qui a sentire.
Stasera con destrezza tra sfrenate chiacchiere e bevute
per trapassare il brunito usbergo della sua mente. E allora? Un buffone alla corte del suo signore vezzeggiato e
disprezzato, che si guadagna la lode di un clemente signore. Perché avevano scelto tutti quanti quella parte? Non solo per la morbida carezza. Anche per loro la storia era un racconto come tanti altri sentiti troppo spesso, la loro patria un monte di pietà.
Se Pirro non fosse caduto ad Argo per mano di una vecchiaccia, o Giulio Cesare non fosse stato ucciso a coltellate. Cose che non si possono abolire col pensiero. Il tempo li ha segnati col suo marchio, e in ceppi dimorano nel luogo delle infinite possibilità che esse hanno estromesso. Ma possono essere state possibili dato che non furono mai? O fu possibile solo ciò che avvenne? Tessi,


2° Quadro: professore ci racconti una storia


        - Ci racconti una storia, professore.
- Sì, sì, professore. Una storia di fantasmi.
- Dove eravamo rimasti, qui? domandò Stephen, prendendo un altro libro.
- Non pianger più, disse Comyn.
- Avanti lei, Talbot.
- E la storia, professore?
- Dopo, disse Stephen. Continui, Talbot.
Un ragazzo bruno aprì un libro e lesto lo appoggiò dietro il baluardo della cartella. Recitò sgorghi di versi gettando sguardi in tralice sul testo:
- Non pianger più, dolente pastore, non pianger più
Ché Lycidas, tuo duolo, non è morto,
Benché sia sprofondato sotto l’equoreo piano…
Dev’essere un movimento, allora, un’attualità del possibile in quanto possibile. La frase di Aristotele si formò fra i versi barbugliati e andò alla deriva fino al silenzio studioso della biblioteca di Sainte Geneviève dove aveva letto, al riparo da una Parigi peccaminosa, per sere e sere. Gomito a gomito un esile siamese compulsava un manuale di strategia. Cervelli pasciuti e pascentisi intorno a me: sotto lampade a incandescenza, infilzati, con un tenue palpitare delle antenne: e nel buio della mia mente un bradipo del mondo sotterraneo, riluttante, schivo di luce, che muove le sue squamose volute di drago. Pensiero è il pensiero del pensiero. Tranquilla luminosità. L’anima è in certo modo tutto ciò che è: l’anima è la forma delle forme. Tranquillità subitanea, vasta, incandescente: forma delle forme.
Talbot ripeteva:
- Per la dolce possanza di Colui che camminò sulle onde.
Per la dolce possanza...
- Volti pure, disse tranquillamente Stephen. Io non vedo niente.
- Che cosa, professore? domandò candidamente Talbot, chinandosi in avanti.
La sua mano voltò la pagina. Si ritrasse indietro e riprese perché proprio allora s’era ricordato. Di colui che camminò sull'onde. Anche qui su questi cuori vili si stende la sua ombra e sul cuore e sulle labbra di chi lo irride e sulle mie. Si stende sulle facce bramose dl coloro che gli offrirono l'obolo del tributo. A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio. Un lungo sguardo degli occhi oscuri, una frase enigmatica da tessere e ritessere sui telai della chiesa. Sì.
Talbot infilò il libro chiuso nella cartella.
- Ho sentito tutto? domandò Stephen.
- Sì, professore. Alle dieci c'è hockey, professore.
- Mezza vacanza, professore. Giovedì.
- Chi sa rispondere a un indovinello? domandò Stephen.
Ammonticchiavano i libri, crepitano le matite, fruscio di pagine. Accalcandosi in gruppo infilavano e affibbiavano le cinghie delle cartelle, con un allegro vociferare:
- Un indovinello, professore? Lo dica a me, professore.
- A me, a me, professore.
- Uno difficile, professore.
- Ecco l'indovinello, disse Stephen:


Cantò il gallo al mattino
Il cielo era turchino:
In cielo i batocchi
Davan undici rintocchi.
E’ ora che quest’animuccia
In cielo vada a cuccia.


- Che cos'è?
- Che cos’è, professore?
- Ripeta, professore. Non abbiamo sentito.
I loro occhi si slargavano mentre i versi venivano ripetuti. Dopo una pausa Cochrane disse:
- Che cos'è, professore? Ci arrendiamo.
Stephen con un prurito in gola, rispose:
Si alzò e ruppe in una risata nervosa a cui le loro grida fecero un’eco di costernazione.
Un bastone batté alla porta e una voce nel corridoio annunziò:
- Hockey!
Sciamarono, sgusciando dai banchi, scavalcandoli. In un baleno erano spariti e dal ripostiglio giunse uno sbattere di mazze e un parapiglia di scarpe e di voci.


3° Quadro: lo studente Sargent


Sargent, il solo che avesse indugiato, si fece avanti con lentezza tenendo un quaderno aperto. I capelli arruffati e il collo scarno davano a divedere un che di tardo e attraverso le lenti appannate deboli occhi si levavano imploranti. Sulla gota, smorta ed esangue, c’era una lieve macchia d’inchiostro, a forma di dattero, recente e umida come una traccia di lumaca.
Porse il quaderno. In cima alla pagina stava scritta la parola Operazioni. Sotto c’erano delle cifre sbilenche, in fondo una firma contorta, con gli occhielli delle lettere ciechi e una macchia. Cyril Sargent: firma e suggello.
- Mr Deasy mi ha detto di riscriverle tutte, disse e di fargliele vedere, professore.
Stephen toccò gli orli del quaderno. Nullità.
- Ha capito ora come si fanno? domandò.
- Dall’esercizio undici al quindici, rispose Sargent. Mr Deasy ha detto che dovevo copiarle dalla lavagna signore.
- Le sa fare da sé? domandò Stephen.
- No, professore.
Brutto e nullo: collo magro e capelli arruffati e una macchia d’inchiostro, una traccia di lumaca. Eppure c'era una che lo aveva amato, portato in braccio e dentro al cuore. Se non fosse stato per lei la maratona del mondo lo avrebbe schiacciato sotto i piedi, spiaccicata lumaca senza vertebre. Lei aveva amato quel debole sangue acquoso trasfuso dal proprio. Era dunque vero? La sola cosa autentica della vita? Sul corpo prostrato della madre cavalcò nel suo santo zelo il focoso focoso Colombano. Essa non era più: lo scheletro tremante di un ramoscello bruciato nel focolare, un sentor di legno di rosa e di cenere umida.
Aveva impedito che lo schiacciassero sotto i piedi; e se ne era andata, senza quasi essere esistita. Un’animuccia andata in cielo: e in una landa sotto l’ammiccare delle stelle una volpe, rosso fortore di rapina nel pelo, con occhi lustri spietati grattava nella terra, ascoltava, grattava via la terra, ascoltava, grattava e grattava.
Seduto accanto a lui, Stephen risolveva il problema. Dimostra con l’algebra che lo spettro di Shakespeare è il nonno di Amleto. Sargent guardava in tralice attraverso gli occhiali a sghimbescio, le mazze da hockey sbattevano nel ripostiglio: il colpo sordo d'una palla e richiami dal campo.
Attraverso la pagina i simboli si muovevano in solenne moresca, sotto le maschere delle loro lettere, con bizzarre berrette di quadrati e cubi. Date la mano, traversate, inchinatevi alla dama: così: demonietti usciti dalla fantasia dei Mori. Scomparsi anche loro dal mondo,
Averroè e Mosè Maimonide, uomini scuri nel volto e nel gesto, che facevano balenare nei loro specchi beffardi l'anima buia del mondo, un’oscurità splendente nella luce, che la luce non poteva comprendere.
- Capisce ora? Riesce a fare da solo quella
dopo?
- Sì, professore.
Con lunghi tratti confusi Sargent ricopiò i dati. Sempre in attesa di una parola di aiuto, la mano moveva fedelmente i simboli incerti, un debole color di vergogna balenava sotto la pelle opaca. Amor matris: genitivo soggettivo e oggettivo. Col sangue debole e il latte sieroso l’aveva nutrito e aveva nascosto agli occhi degli altri le sue fasce di neonato.
Ero come lui, queste spalle cadenti, questa sgraziataggine. La mia infanzia si china qui accanto a me. Troppo distante perché io possa posarvi la mano anche una sola volta, o lievemente. La mia è distante e la sua segreta come i nostri occhi. Silenziosi, pietosi, segreti sono insediati nei palazzi bui di entrambi i nostri cuori: segreti stanchi della loro tirannide: tiranni disposti a essere detronizzati.
L’operazione era fatta.
- È’ semplicissimo, disse Stephen alzandosi.
- Sì, professore. Grazie, rispose Sargent.
Asciugò la pagina con un sottile foglio di carta assorbente e riportò il quaderno al suo banco.
- Meglio che adesso lei vada a prendere la mazza e raggiunga gli altri, disse Stephen, seguendo verso la porta la figura sgraziata del ragazzo.
- Sì, signore.
Nel corridoio si sentì il nome del ragazzo, chiamato dal campo.
- Sargent!
- Corra, disse Stephen. Mr Deasy la chiama.
Si fermò nel portico a guardare il ritardatario che correva verso il misero campo da gioco dove voci acute stavano contendendo.


4° quadro: Mr Deasy 1. il suo aspetto, il suo studio il denaro


Erano divisi in squadre e Mr Deasy avanzava passando sui radi fili d'erba con i piedi inguainati nelle ghette. Quando ebbe raggiunto la scuola, le voci di nuovo in contesa lo chiamarono. Egli volse i bianchi baffi irosi.
- Cosa c’è ora? gridava continuamente senza ascoltare.
- Cochrane e Halliday sono nella stessa squadra signore, gridò Stephen.
- Vuole attendere un momento nel mio studio, disse Mr Deasy, finché non abbia ristabilito l’ordine qui.
E nel riattraversare indaffarato il campo la sua voce da vecchio gridava severa:
- Cosa succede? Cosa c’è?
Le loro voci acute gli gridavano intorno da ogni lato: le loro molte forme lo serravano, mentre il sole sgargiante scialbava il miele dei suoi capelli mal tinti.
Un’aria stantia di fumo gravava nello studio insieme all’odore del cuoio logoro e scolorito delle sedie. Come il primo giorno che egli contrattò con me qui.
Un passo rapido sul lastrico del porticato e nel corridoio. Soffiando all’infuori i suoi radi baffi Mr Deasy si fermò al tavolo.
- Anzitutto, la nostra piccola questione amministrativa, disse.
Estrasse dalla giacca un portafogli assicurato da un cinturino di cuoio. Si aprì di scatto, ed egli ne estrasse due banconote, una delle quali formata da due metà unite insieme, e le depose con cura sul tavolo.
- Due, disse, fermando il cinturino e riponendo il portafogli.
E ora la camera blindata per l'oro. La mano imbarazzata di Stephen si mosse sulle conchiglie ammucchiate nel freddo mortaio di pietra: buccini e monete, cauri e conchiglie maculate: e questa, attortigliata come il turbante di un emiro, e questa, valva del nicchio di San Giacomo. Il gruzzolo di un antico pellegrino, morto tesoro, vuoti gusci di conchiglie.
Una sovrana cadde, lucente e nuova, sulla soffice peluria del tappeto del tavolo.
- Tre, disse Mr Deasy, rigirando in mano il suo forzieretto metallico. Questi sono aggeggi pratici. Vede. Questo è per le sovrane. Questo per gli scellini, le monete da sei pence, le mezze corone. E qui le corone. Vede.
Ne fece uscire due corone e due scellini.
- Tre e dodici, disse. Credo che troverà che il conto torna.
- Grazie, signore, disse Stephen, raccogliendo insieme il denaro con timida fretta e infilandolo tutto in una tasca dei pantaloni.
- Grazie di nulla, disse Mr Deasy. Se lo è guadagnato.
La mano di Stephen, di nuovo libera, tornò ai vuoti gusci di conchiglia. Simboli anche di bellezza e di potenza. Un rigonfio nella tasca. Simboli insozzati d’avidità e infelicità.
- Non li porti così, disse Mr Deasy. Li tirerà fuori da qualche parte e li perderà. Compri uno di questi arnesi. Li troverà molto pratici.
Rispondere qualcosa.
- Il mio sarebbe spesso vuoto, disse Stephen.
La stessa stanza e la stessa ora, la stessa saggezza: ed io lo stesso. Tre volte ora. Tre cappi intorno al mio collo qui. Bene. Li posso spezzare in questo istante se voglio.
- Perché lei non risparmia, disse Mr Deasy, puntando un dito. Lei non sa ancora cos’è il denaro. Il denaro è potere. Quando lei avrà vissuto quanto me. Lo so, lo so.
- Iago, mormorò Stephen.
Levò gli occhi dalle vane conchiglie per incontrare lo sguardo del vecchio.
- Lui lo sapeva cos’era il danaro, disse Mr Deasy. Ha fatto quattrini. Poeta sì, ma anche inglese. Lo sa lei cos’è
il vanto degli inglesi? Lo sa qual è la parola più fiera che udirà mai uscire dalla bocca di un inglese?


Il signore delle onde. I suoi occhi freddi come il mare guardavano la baia vuota: la colpa è della storia: su di me e sulle mie parole, senza odio.
- Che sul suo impero, disse Stephen, non tramonta mai il sole.
- Bah! esclamò Mr Deasy. Quello non è inglese. Quello lo disse un celta francese. Tambureggiò col suo piccolo forziere contro l’unghia del pollice.
- Glielo dirò io, disse solennemente, qual è il suo vanto più fiero. Ho pagato.
Brav’uomo, brav’uomo.
- Ho pagato. Non ho mai preso in prestito uno scellino in via mia. Può sentirsi così lei? Non devo nulla. Può capirlo?
A Mulligan, nove sterline, tre paia di pedalini, un paio di stivali, cravatte. A Curran, dieci ghinee. A McCann, una
ghinea. A Fred Ryan, due scellini. A Temple, due colazioni. A Russell, una ghinea, a Cousins, dieci scellini, a Bob Reynolds, mezza ghinea, a Kohler, tre ghinee, a Mrs McKernan, cinque settimane di pensione. Il rigonfio che ho in tasca è inutile.
- Per il momento, no, rispose Stephen.


5° quadro: Mr Deasy 2 - La storia d’Irlanda                                         
Mr Deasy rise con ricca letizia, riponendo il suo piccolo forziere.
- Lo sapevo che non avrebbe potuto, disse gioiosamente. Ma un giorno dovrà sentirlo. Siamo un popolo generoso ma dobbiamo anche essere giusti.
Mr Deasy fissò severamente per qualche istante sopra il caminetto la ben costrutta sagoma di un uomo in gonnellino scozzese: Alberto Edoardo, Principe di Galles.
- Lei mi considera un vecchio rimbambito e un vecchio conservatore, disse la sua voce pensosa. Io ho veduto tre generazioni dal tempo di O'Connell. Mi ricordo la carestia del '46. Lo sa che le logge orangiste si agitavano per la revoca dell’unione venti anni prima che lo facesse O’Connell o prima che i prelati della sua religione lo denunciassero come demagogo? Voi feniani vi dimenticate di certe cose.
Gloriosa, pia e immortale memoria. La loggia del Diamante  a Armagh la spendida con appesi i cadaveri dei papisti. Rauchi, mascherati e armati, la convenzione dei proprietari terrieri. Il nero nord e la bibbia blu dei presbiteriani. Terroni ribelli restatevene giù.
Stephen abbozzò un breve gesto.
- Ho sangue ribelle in me anch’io, disse Mr Deasy. Da parte materna. Ma discendo da Ser John Blackwood che votò per l’unione. Siamo tutti irlandesi, tutti figli di re.
- Ahimè, disse Stephen.


Lalla lalla ra


Un rozzo nobilotto di campagna a cavallo con gli stivaloni lucidi. Giorno coperto, sir John. Giorno coperto, vostro onore... Giorno...Giorno... Due stivaloni traballano penzoloni verso Dublino. Lalla lalla ra lallalallaralla.

6° quadro: Mr Deasy 3 - La lettera,  l’afta epizootica, Mr Henry Blackwood Price, Pensieri di stephen: cavalli corse arricchirsi


- A proposito, disse Mr Deasy. Lei può farmi un favore, Mr Dedalus, con qualcuno dei suoi amici letterati. Ho qui una lettera per la stampa. Si accomodi un momento. Devo solo copiare la fine.
Andò allo scrittoio accanto alla finestra, tirò avanti due volte la poltrona e rilesse qualche parola dal foglio sul tamburo della macchina da scrivere.
- Si accomodi. Mi scusi, disse di sopra la spalla, i dettami del senso comune. Un momento solo.
Scrutò di sotto le sopracciglia ispide il manoscritto accanto al gomito e, borbottando, incominciò a pungolare i tasti rigidi della macchina lentamente, soffiando a volte dopo aver girato il tamburo per cancellare un errore.
Stephen si assise silenziosamente dinanzi alla regal presenza. Incorniciate lungo le pareti immagini di cavalli scomparsi rendevano omaggio, le loro miti teste librate in aria: Repulse di Lord Hastings, Shotover del duca di Westminster, Ceylon del duca di Beaufort, prix de Paris, 1886. Fantomatici fantini li montavano, attenti al segno. Vide la loro carriera, difensori dei colori regali, e urlò con le urla di folle scomparse.
- Punto, ordinò Mr Deasy ai tasti. Ma l'immediato dibattito di questa questione essenziale...
Dove Cranly mi portò per arricchirci alla svelta, in cerca di vincitori fra i carrozzini chiazzati di fango, fra gli ululati degli allibratori sui loro panchetti e il tanfo della mescita, sul limo iridato. Bel Ribelle alla pari: dieci a uno gli altri.
Giocatori di dadi e di bussolotti cui passammo in fretta accanto inseguendo gli zoccoli, i berretti e le giubbe in gara oltre quella donna con la faccia come una scarpa, la madama di un beccaio, che grufolava assetata il suo quarto d'arancio.
Grida risuonarono stridule dal campo di gioco dei ragazzi e un fischietto sibilante.
Di nuovo: una meta. Io sono fra loro, fra i loro corpi combattivi nella mischia, il certame della vita. Vuoi dire quel cocco di mamma dalle gambe storte che sembra leggermente debole di stomaco? Certàmi. Il tempo scosso rimbalza, scossa su scossa. Certàmi, limo e frastuono di battaglie, la bava della morte raggelata sugli uccisi, un urlo di lance adescate con sanguinolente interiora umane.
- Ecco fatto, disse Mr Deasy, alzandosi.
Si avvicinò al tavolo, fissando insieme i fogli con uno spillo. Stephen si rizzò in piedi.
- Ho esposto la questione in nuce, disse Mr Deasy. È a proposito dell'afta epizootica. Ci dia un'occhiata. Non si può avere un'opinione diversa in merito.
Se mi è lecito abusare del vostro spazio prezioso. La dottrina del laissez faire che tanto spesso nella nostra storia. Il nostro commercio di bestiame. Al modo di tutte le nostre antiche industrie. La combutta di Liverpool che mandò in malora il piano per il porto di Galway. Conflagrazione europea. Rifornimenti di cereali attraverso le anguste acque del canale. L'imperturbabilità plutoperfetta del ministero
dell'agricoltura. Concessa un'allusione classica. Cassandra. Da una donna dalla condotta non irreprensibile. Venendo al nocciolo.
- Non ho peli sulla lingua, vero? chiese Mr Deasy mentre Stephen continuava a leggere.
Afta epizootica. Noto col nome di preparato di Koch. Siero e virus. Percentuale di cavalli immunizzati. Pestilenza del bestiame. I cavalli dell'Imperatore a Murzsteg, nella bassa Austria. Medici veterinari. Mr Henry Blackwood Price. Cortese offerta di sperimentare. Dettami del senso comune. Questione essenziale. In tutti i sensi dell'espressione prendere il toro per le corna. Ringraziandovi per l'ospitalità nelle vostre colonne.
- Voglio che sia stampata e letta, disse Mr Deasy. Vedrà che alla prossima epidemia metteranno un embargo sul bestiame irlandese. E si può curare. È stato già curato. Mio cugino, Blackwood Price, mi scrive che viene regolarmente curato e guarito in Austria da quei veterinari. Si offrono di venir qua. Sto cercando di trovare appoggi al ministero. Adesso voglio provare la pubblicità. Sono circondato da difficoltà, da... intrighi da... congiure di corridoio da…


7° quadro:Mr Deasy 4- Gli Ebrei, le Donne


Alzò l'indice agitandolo in aria come un vecchio prima che la sua voce si facesse sentire.
- Mi stia bene a sentire, Mr Dedalus, disse. L'Inghilterra è nelle mani degli ebrei. In tutte le posizioni più in vista: la finanza, la stampa. Ed essi sono il sintomo della decadenza di una nazione. Ovunque si radunino divorano la forza vitale della nazione. L'ho visto venire in questi anni. Come è vero che noi stiamo qua i mercanti ebrei sono già intenti alla loro opera di distruzione. La vecchia Inghilterra sta morendo.
Si allontanò rapidamente, gli occhi acquistando una azzurra vitalità nell'attraversare un ampio raggio di sole. Fece dietro front e tornò indietro.
- Sta morendo, disse, se a quest'ora non è già morta.




I suoi occhi sbarrati alla visione fissarono severi di là del raggio di sole in cui si era fermato.
- Un mercante, disse Stephen, è uno che compra a poco e rivende a molto, ebreo o gentile che sia, no?
- Hanno peccato contro la luce, disse gravemente Mr Deasy. E si vedono le tenebre nei loro occhi. Ed è per questo che vanno errando sulla terra fino ad oggi.
Sui gradini della Borsa di Parigi, uomini dalla pelle dorata che indicavano le quotazioni sulle dita ingemmate. Chiacchiericcio d'oche. Sciamavano rumorosi, goffi per il tempio, le teste vicine in combutta sotto tubini maldestri. Non loro: questi abiti, queste parole, questi gesti. I loro tondi occhi lenti smentivano le parole, i gesti ansiosi e inoffensivi, ma sapevano dei rancori accumulati intorno a loro e sapevano che il loro zelo era vano. Vana pazienza di accumulare e tesaurizzare. Il tempo avrebbe tutto disperso. Un tesoro accumulato al margine della strada: saccheggiato e via. I loro occhi sapevano gli anni dell'errare e, pazienti, sapevano i disonori della loro carne.
- Chi non l'ha fatto? disse Stephen.
- Cosa intende dire? chiese Mr Deasy.
Avanzò di un passo e si fermò accanto al tavolo. La mandibola gli scese di sbieco aperta indecisamente. È questa l'antica saggezza? Attende di sentire da me.
- La storia, disse Stephen, è un incubo da cui cerco di destarmi.
Dal campo di gioco i ragazzi levarono un urlo. Un fischietto sibilante: meta. E se l'incubo ti tirasse un calcio proditorio?
- Le vie del Creatore non sono le nostre vie, disse Mr Deasy. Tutta la storia si muove verso un'unica grande meta, la manifestazione di Dio.
Stephen accennò col pollice alla finestra dicendo:


- Quello è Dio.
Urrà! Ahi! Fiuuuu!
- Che cosa? chiese Mr Deasy.
- Un urlo per la strada, rispose Stephen, alzando le spalle.


Mr Deasy abbassò gli occhi e si tenne per qualche tempo le pinne del naso strette fra le dita. Levando di nuovo lo sguardo le liberò.




8° quadro: Mr Deasy 5-Consegna la lettera a Stephen ,associazione dei commercianti di bestiame al City Arms Hotel, di nuovo gli Ebrei, Stephen decide di lasciare anche la scuola, descrizione dell’edificio


Stephen sollevò i fogli che aveva in mano.
- Bene, signore, cominciò.
- Prevedo, disse Mr Deasy, che lei non durerà molto a lungo in questo lavoro. Non è nato per insegnare, mi pare. Forse sbaglio.
- Per imparare piuttosto, disse Stephen.
E qui cos'altro imparerai?
Mr Deasy scosse la testa.
- Chissà? disse. Per imparare bisogna essere umili. Ma la vita è la grande maestra.
Stephen fece di nuovo frusciare i fogli.
- Quanto a questi, cominciò.
- Sì, disse Mr Deasy. Ne ha due copie lì. Se potesse farle pubblicare subito.
- Proverò, disse Stephen, e le farò sapere qualcosa domani. Conosco un poco due direttori di giornali.
- Basta così, disse vivacemente Mr Deasy. Ho scritto iersera all'On. Field. Oggi c'è una riunione dell'associazione dei commercianti di bestiame al City Arms Hotel. Gli ho chiesto di comunicare la mia lettera alla riunione. Veda se può farla pubblicare nei suoi due giornali. Quali sono?
- L'Evening Telegraph...
- Basta così, disse Mr Deasy. Non c'è tempo da perdere. Ora devo rispondere a quella lettera di mio cugino.
- Buon giorno, signore, disse Stephen, mettendosi i fogli in tasca. Grazie.
- Di nulla, disse Mr Deasy frugando fra le carte sullo scrittoio. Mi piace spezzare una lancia con lei, vecchio come sono.
- Buon giorno, signore, ripeté Stephen, inchinandosi alla schiena curva dell'altro.
Uscì attraverso il portico aperto e giù per il viale inghiaiato sotto gli alberi, udendo grida di voci e schiocchi di bastoni dal campo di gioco. I leoni accosciati sui pilastri nel passare attraverso il cancello: terrori sdentati. Però lo aiuterò nella sua lotta. Mulligan mi affibbierà un nuovo nomignolo: il bardo bazzicabovi.
- Mr Dedalus!
Mi corre dietro. Niente altre lettere, spero.
- Solo un momento.
- Sì, signore, disse Stephen, voltandosi sul cancello.
Mr Deasy si fermò, ansimando e deglutendo il fiato.
- Volevo soltanto dire, disse. L'Irlanda, dicono, ha
l'onore di essere il solo paese che non ha mai perseguitato gli ebrei. Lo sa lei? No. E sa perché?
Mostrò un severo cipiglio all'aria luminosa.
- Perché, signore? chiese Stephen cominciando a sorridere.
- Perché non li ha mai lasciati entrare, disse solennemente Mr Deasy.
Un grumo tossicoloso di riso gli balzò dalla gola tirandosi dietro una sferragliante catena di catarro. Si voltò indietro svelto, tossendo, ridendo, agitando in aria le braccia levate.
- Non li ha mai lasciati entrare, esclamò di nuovo attraverso il riso mentre calpestava con piedi inghettati la ghiaia del viale. Ecco perché.

Sulle sue sagge spalle attraverso la scacchiera delle foglie il sole lanciava lustrini, danzanti monete.
***
Note
circa il  titolo: Nestore o La scuola


Nell'Odissea Telemaco inizia il viaggio di ricerca del padre, per fare visita al vecchio Nestore, il saggio re di Pilo, e alla sua corte ascolterà il racconto dell'assedio di Troia. Anche Stephen è alla ricerca di un padre
Benché già anziano, quando iniziò la guerra di Troia partì con gli altri eroi greci per combattere contro i Troiani.Avendo governato per generazioni, godeva fama di uomo saggio e giusto e dispensò consigli ai Greci durante il conflitto. 
Dopo la caduta di Troia, Nestore ritornò a Pilo, dove ospitò Telemaco quando il giovane vi si recò per informarsi sul destino di suo padre Ulisse.

Il nome di Nestore ricorre anche in un'iscrizione poetica incisa su una coppa detta appunto di Nestore, il più antico documento di lingua greca, coevo ai poemi omerici. rinvenuto nella necropoli di San Montano a Lacco Ameno Ischia,
Nestore e i suoi figli sacrificano un toro a Poseidone sulla spiaggia di PiloCratere a calyx Attico a figure rosse, 400-380 a.C.MadridMuseo Arqueológico Nacional de España.

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1/3/15
Luoghi
Il Paese


VicoRoad oggi, da sud-ovest In alto a destra si trova Dalkey Island  e al di là che i Muglins Intorno alla curva a sinistra sono Dalkey, Bullock Harbor  Sandycove Dun Laoghaire ex Kingstown
17/08/17
cartoline di Dalkey odierna
Situato sulla costa sud di Dublino, conosciuta come la Costa Verde,è un luogo ricco di storia, rivendica la fama e l'essenza gaelica, il suo  nome (Dalkey)deriva da Deilg (un composto della parola gaelica thorn(= spina) e il Vichingo ay or 'eye'(= occhio) . Ha connessioni letterarie con George Bernard Shaw e James JoyceSubito dopo il villaggio sul lato di Dun Laoghaire, se si prende una svolta a sinistra, salendo una collina, a metà strada sul lato destro è una casa chiamata Summerfield House, di proprietà di un membro di una famosa band irlandese degli anni '70 chiamata Horselips , famosa per la loro fusione fra l'atmosfera celtica e la musica rock. All'inizio del XX secolo, era la scuola di Clifton Lodge dove James Joyce lavorò per circa tre mesi (vissuto sia in Bray che in seguito in Blackrock, a Joyce sarebbero familiari le camminate lungo la costa meridionale).  Ha immortalato questo luogo in Ulyssees, nel secondo capitolo - dove si parla di Vico Road - con Stephen Dedalus e con il suo direttore sul quale basa Deasy. La casa si trova su terreni incantevoli. (Anche il poeta Denis Florence McCarthy visse qui per un po ').
Se si torna verso il basso e verso il centro di Dalkey, sul lato ovest, vicino a uno dei tre castelli - Castello di Bullock - si vedrà il porto di Colliemore, che dalla fine del 1500 fino alla fine del 1600, è stato incredibilmente utilizzato come Porto di Dublino! Prima che il porto e i pontili venissero spostati in città, era qui - che sembrava più adatto, considerando che qui c'era un vecchio villaggio di pescatori. (Fonte)
MAPPA

La Scuola

Sono le 10 di mattina. Stephen è alla scuola di Dalkey e fa lezione di storia. 


La scuola di Irwin s Clifton (Deasy)si trovava a Summerfield House, un edificio ancora esistente in Dalkey. Stephen se ne va  attraverso un " portico aperto "e cammina" lungo il sentiero di ghiaia sotto gli alberi al cancello che è affiancato da leoni accucciati sui pilastri . I pilastri sono sopravvissuti, ma non i leoni.

Nel 1950 William York Tindall ha preso una fotografia del "campo di gioco"dietro la casa. Non è particolarmente grande.



PERSONAGGI

Joyce ha modellato " Mr Deasy "su Francesco Irwin, il proprietario e direttore della Scuola di Clifton in Dalkey , dove ha lavorato per diverse settimane o mesi fra marzo-giugno 1904. Alterando alcuni dettagli e mantenendone gli altri, ha creato il ritratto vivido di un vecchio che si da molte arie ma il cui consiglio autorevole è minato da frequenti errori di fatto.


Secondo Ellmann, Irwin è stato "un ,Ulster 
Scozzese molto pro-britannico" (153), 
e questo patrimonio protestante conservatore
 è fortemente pronunciata in Deasy. 
Copertina dell'edizione tedesca del 1934 https://en.wikipedia.org/wiki/The_Protestant_Ethic_and_the_Spirit_of_Capitalism



Gifford aggiunge che il nome fittizio 
"può dovere qualcosa alla legge Deasy (1860), un
 atto apparentemente destinato alla riforma
 agraria in Irlanda, ma in pratica
 un regolamento spietato  di locazione della terra 
a favore dei padroni di casa
(cioè,le istituzioni  pro-Inglesi e anticattoliche) 

Ellmann osserva che 
Irwin era un alcolizzato con un naso molto rosso, e che la sua malattia lo ha costretto a chiudere la scuola non molto tempo dopo la partenza di Joyce. Joyce ha tralasciato questo dettaglio, mentre ne ha aggiunti altri non reali: ha dato a Garrett Deasy (impariamo il suo nome in Eolo )una moglie separata che lo scapolo Irwin non ha avuto. Egli ha anche incorporato caratteristiche di Henry Blackwood Price , un uomo che Joyce nel 1912 ha conosciuto a Trieste: il quale"vantava un'illustre di discendenza Ulster" e aveva "un interesse per la malattia dell'afta epizootica "(153).

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