Ulisse/Edizioni/Traduzioni

3 gennaio 2022
da CAMILLO LANGONE 03 GEN 2022 sul Foglio

Solo per elogiare il grande Gianni Celati, appena scomparso dobbiamo sentire
  che Joyce è "prolisso"
Parole sue:
 "lo so che ha tradotto nientepopodimeno che l’“Ulisse” ma per me è più importante Celati di Joyce e avrei voluto che i sette anni persi dietro il prolisso irlandese li avesse impiegati a scrivere qualcosa di suo. Qualcosa di ferrarese. "
"Chi in futuro si limiterà agli estremi biografici cosa mai potrà capire di Gianni Celati? Nato a Sondrio nel 1937 e morto a Brighton nel 2022… Due località in cui proprio non ce lo vedo: Celati era ferrarese!"
                                           ********                                             
Con più garbo, senza offendere altri, parla di Celati e del suo Costumi degli italiani

ANNALENA BENINI il 19 DIC 2020 sul Foglio

con "Il canto della provincia padana di Gianni Celati"

"Lo scrittore giramondo è rimasto sempre un ferrarese, capace di raccontare la rassegnazione dei suoi personaggi anche verso l'isolamento e l'infelicità"

Gianni Celati vive tra l’Italia, l’Africa e l’Inghilterra (da molti anni a Brighton), ma è sempre un ferrarese, uno scrittore con la provincia padana nella testa e nelle dita.

********
Mentre Rainews 
neppure si ricorda che CELATI abbia tradotto l'Ulisse di Joyce
"Celati ha inoltre curato per Feltrinelli la traduzione di numerose opere dall'inglese come "Bartleby lo scrivano" di Melville (1991), "La Certosa di Parma" di Stendhal (1993), "I viaggi di Gulliver" di Swift (1997). Si è occupato della trascrizione in prosa del poema di Matteo Maria Boiardo, "L'Orlando innamorato raccontato in prosa" (Einaudi, 1994). "
____________________________
29/11/21

__________________________________________________________
01/01/2021





Collegamento al Post del 

27 aprile 2014


17/5/14
http://it.wikipedia.org/wiki/Ulisse_(Joyce)

1) Anteprima del volume edito nel 1960
clicca sul libro


Ultima edizione mondadori

  • Una giornata di Leopold Bloom, pacifico commerciante dublinese, della moglie Molly e del giovane intellettuale Stephen Dedalus, trasfigurata dal paragone con le avventure di Ulisse. Il romanzo più innovativo e complesso della letteratura moderna, corredato in questa edizione da una esauriente guida alla lettura, a cura di Giorgio Melchiorri e Giulio de Angelis, che ne chiarisce le complesse simbologie.
    • ISBN 9788804414773
      1064 pagine € 19,00
      12,7 x 19,7 cm
      Brossura
      In vendita dal 13 giugno 2000
      Curatori: Giorgio Melchiori, Giulio De Angelis
      Traduttori: Giulio De Angelis
    •                      DA
http://www.librimondadori.it/libri/ulisse-james-joyce



Il farsi di una traduzione memorabile:
l’Ulisse di Joyce nel fondo Giulio de Angelis
di Anna Maria Aiazzi
                                   DA
http://www.collana-lilsi-rivlea.unifi.it/upload/sub/LEA0_110505/Il_farsi_di_una_traduzione_memorabile.pdf


Ernesto Livorni
L'Ulisse di Joyce tradotto in italiano.

http://www.comune.bologna.it/iperbole/boll900/livorni.htm

21/7/15 
James Joyce, Ulisse, Versione e note di Bona Flecchia, Firenze, Shakespeare and Company, 1995, pp.683):
estratto da  http://www.comune.bologna.it/iperbole/boll900/livorni.htm
Una nuova traduzione aggiornata divenne persino più necessaria dopo la pubblicazione del testo corretto dell'Ulysses (preparato sotto la direzione di Walter Gabler: New York - London, Garland, 1984), a cui fece seguito una nuova edizione della traduzione di De Angelis (Milano, Mondadori, 1988), che però lascia piuttosto perplessi. Quindi, appare pienamente giustificata l'annotazione che appare discretamente in testa ai diritti d'autore del volume curato da Bona Flecchia (James Joyce, Ulisse, Versione e note di Bona Flecchia, Firenze, Shakespeare and Company, 1995, pp.683): "La presente traduzione dell'Ulisse non segue la lezione di un solo testo, ma è il risultato di una prospezione e ricostruzione autonoma del testo joyciano condotta e realizzata dalla traduttrice. Una scelta oggi obbligata, davanti alle oltre cinquemila varianti, in sé tutte plausibili, proposte dalla filologia in oltre mezzo secolo di esercizio sul testo di James Joyce".
 da 
https://liberidiscrivereblog.wordpress.com/2013/02/27/segnalazione-di-ulisse-di-james-joyce-einaudi-2013/

Segnalo per completezza di informazione che esistono anche altre due traduzione dell’Ulisse di Joyce, una con traduzione e note di Bona Flecchia, Firenze, Shakespeare and Company, 1995, (sembra che per dissensi con l’erede di Joyce la casa editrice sia stata costretta a distruggere le copie del libro) e l’altra pubblicata ne I Mammut di Newton Compton, traduzione di Enrico Terrinoni con Carlo Bigazzi, 2012.
**************************

16/11/14

Antonio R. Daniele Nuovi modernismi. Joyce («Ulisse») e Celati: traduzione e traduzioni

http://www.boll900.it/2013-i/Daniele.html

                                              ESTRATTO
....."Qualcosa che la resa della "sessantana" di De Angelis non poteva ottenere, così ben disposta allo "standard" e all'idiomatismo toscaneggiante (al quale era stato affidato il compito di rendere quasi tutto il ventaglio dei "particolarismi" joyciani). Celati opta per un "neostandard" non sistematico: si tratta di una scelta fintamente omologante poiché non raduna tutti i lettori. Ecco un esempio tra i più significativi:
«Il suo passo rallentò. Qua. Ci vado o non ci vado da zia Sally [sic!]? Voce di mio padre consustanziale: l'hai mica visto di recente tuo fratello Stephen, l'artista? No? Sicuro che non è giù in Strasburg Terrace da sua zia Sally? Non potrebbe aver qualche meta più elevata, dico io? E allora allora allora dìcci tutto Stephen, come sta lo zio Si? Cristo d'un Dio, guarda qua con che famiglia mi sono incastrato, sposandomi! I ragassi son su in la sofita. Quell'ubriacone d'un contabiluzzo e suo fratello suonatori di cornetta. Proprio bei stornellatori da gondola! E Walter cogli occhi strabuzzati che chiama «capo» suo padre, niente di meno. Sì capo, no capo. Dicono che Gesù ha pianto: per la Madonna, non c'è da meravigliarsi!». (Celati, 2013, p. 52)
«Rallentò il passo. Eccoci. Vado o no da zia Sara? La voce di mio padre consustanziale. Hai più visto ultimamente tuo fratello Stephen l'artista? No? Non sarà mica a Strasburg terrace con zia Sally? Non potrebbe trattarsi un po' meglio?, eh? E eee dicci un po' Stephen, come sta zio Sì? Dolentissimo Dio, a che razza di cose mi sono legato col matrimonio. Racazzini in zoffitta. Quel merciaio ambulante ubriacone e suo fratello il suonatore di cornetta. Onoratissimi gondolieri. E Walter con gli occhi torti che dà del signore al padre, niente di meno. Signore. Sissignore. Nossignore. Gesù si dolse: e non c'è da stupirsene, per Cristo!». (De Angelis, 1960, p. 56)

La costante progressione verso il soliloquio, specie quando chi parla suggerisce al lettore di inferire la presenza di un interlocutore, acquista, nella traduzione einaudiana, un ritmo via via incalzante che Celati sostiene con la scelta di bisillabi e doppie («allora allora allora dìcci tutto») e un inserto colloquiale mutuato dal cinema americano, segno di un impianto lessicale disinvolto. «Cristo d'un Dio» è la ben nota esclamazione del sergente maggiore Hartman, il capo istruttore inFull Metal Jacket di Stanley Kubrick,21 pellicola cult del grande schermo che qui si riflette nel campo semantico da caserma oltreoceano («E Walter cogli occhi strabuzzati chiama "capo" suo padre, niente di meno. Sì capo, no capo»). Celati interviene con elementi neostandard là dove De Angelis dovette cedere a un registro "di struttura" («ci vado o non ci vado da zia Sara?»/«vado o no da zia Sara?»; «Cristo d'un Dio, guarda qua con che famiglia mi sono incastrato, sposandomi!»/«Dolentissimo Dio, a che razza di cose mi sono legato col matrimonio»; «Quell'ubriacone d'un contabiluzzo e suo fratello suonatori di cornetta. Proprio bei stornellatori da gondola»/«Quel merciaio ambulante ubriacone e suo fratello il suonatore di cornetta. Onoratissimi gondolieri»; «Dicono che Gesù ha pianto: per la Madonna, non c'è da meravigliarsi!»/«Gesù si dolse: e non c'è da stupirsene, per Cristo!»), ma non disdegna curiosi regionalismi («i ragassi son su in la sofita») con un esito molto più riuscito, per tono e simmetria, della parodia dell'immaginario teutonico voluta dai precedenti traduttori (De Angelis: «Zacazzini in zoffitta» e ancor prima Rossi: «I racazzi su nel cranaio»)22 e anche dal quello più prossimo: Terrinoni e Bigazzi rendono con uno stereotipo non meno affermato: «Ragatsi tstare in fienile».23"................................. 
                                                     mio appunto
De Angelis, «Zacazzini in zoffitta»XI Ed. Medusa- agosto 1970, p. 56-

***********************

17/11/14
Altre Traduzioni
Territoni


http://www.slideshare.net/natjak89/james-joyce-ulisse-nuova-traduzione-di-enrico-terrinoni
                                    mio appunto
                                       Romanzo Completo Inizio romanzo a pag.34 dopo introduzioni
                                             Commento di
Marina Villa
Credo che D'Erme s'erga a difesa di una scuola joyceana romana, ormai romanesca direi, che ha perso ogni pudore. Una triste cupola di sinistri e sinistre figure. De Angelis insuperabile, d'accordo, ma la traduzione Newton Compton è da penna blu ad ogni pagina. Premio Napoli vinto per consonanze politiche, e non per meriti. Celati sta in mezzo. Ed è fortunatamente lontano da consorterie vatican - rifondarole.


Celati



http://www.panorama.it/cultura/libri/joyce-ulisse-gianni-celati-einaudi/

Una recensione di nicola giacobbe del 2013-06-11
"Una traduzione sbagliata nel modo sbagliato"

*********************
 22/5/15

Translator de Angelis and critic Pagnini on how to render a passage in Ulysses, Part I

Visto l’interesse piuttosto inaspettato, e me ne rallegro, che vi è su questo mio Blog per cose che riguardano Joyce (da sempre, e non so quante migliaia di visite vi sono state negli anni ai miei “Newsletters”), e, di recente, … Continua a leggere 
Pubblicato in JoyceLetteraturaMarcello Pagnini | Contrassegnato ,, | Lascia un commento
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
letto il 22/5/15
Spero che il Prof. Marucci mi perdonerà se per riuscire a leggerlo ho chiesto aiuto al traduttore di Google
Marcello Pagnini (1921-2010) insegnò Joyce ripetutamente nei suoi corsi di letteratura inglese presso l'Università di Firenze, fino al suo ritiro, ma non ha mai scritto un libro o un saggio autonomo. Io ero uno dei suoi studenti quando, nei primi anni settanta, lui, come era suo solito metodo accademico, ha tenuto un seminario che ha unito Proteus da Ulisse con Amleto e La Tempesta. Tuttavia, in diverse occasioni ha dato non meno di tre conferenze pubbliche su Ulisse, e le sue note scritte a mano sono ancora esistenti tra le sue carte. Ampiamente noto come esperto di inglese e americana il Modernismo, Pagnini vide Eliot e Pound come principali rappresentanti, e ha lasciato su di loro un paio di innovativo e saggi magistrali (vedere la mia Il critico ben temperato. Saggio bibliografico sull'opera di Marcello Pagnini, "Rivista di Letterature moderne e comparate", LXIV, 2, 2011, pp. 205-223). Eppure il controllo l'indice dei nomi nei libri di Pagnini Chiunque venga a conoscenza dell'elevato numero di riferimenti a Joyce, e un'intera sezione del saggio "Il continuo mentale Nella SUA rappresentazione narratologica" (ora contenuta nel suo Letteratura e ermeneutica, Firenze 2002, pp . 161-179) offre una discussione sofisticato e penetranti di flusso di coscienza joyciano.

Giulio de Angelis, il primo traduttore italiano di Ulisse nel 1960, rivisto e aggiornato la sua traduzione Mondadori nel 1988, alla luce di "edizione critica e sinottica" di Gabler del romanzo pubblicato nel 1984. Dalla nascita di questa traduzione in 1940, come si può facilmente supporre, De Angelis aveva contattato e consultato diversi studiosi di Joyce all'estero e soprattutto in Italia a presentare domande, risolvere i problemi e suoni opinioni sulle sue scelte linguistiche e circa cruxes interpretative. Recentemente sono stato abbastanza fortunato da essere in grado di visualizzare l'intera corrispondenza accademico di Pagnini, e con mia sorpresa ho trovato le due lettere che sarà dato seguito. Scritto marzo 1988, riguardano un passaggio nell'episodio "Eumeo" del romanzo che de Angelis sospettato di essere corrotto in precedenti edizioni inglese e che, pensava, Gabler aveva reso ancora più incomprensibile. Prima di riporto le due lettere, insieme a una traduzione provvisoria, aggiungo qualche parola di introduzione

Il lettore comune Joyce conosce molto poco - le ossa nude - circa Giulio de Angelis. Essendo io stesso interessato nel momento in rapporti di Joyce con la cultura e letteratura italiana, e in problemi di traduzione, io sono uno di quelli che vorrebbero avidamente benvenuto ulteriori informazioni. E 'quasi certo che de Angelis mai avuto modo di conoscere personalmente Joyce: quando Joyce morì nel 1941 de Angelis aveva 16 anni. Era nato a Firenze anche se il suo cognome non suona tipicamente fiorentino, e la Toscana è oggi la settima Regione su venti in Italia in termini di frequenza del cognome. Era certamente non accademico, e questo può essere il motivo del "trattamento scostante" a freddo- Come un amico americano di de Angelis ha detto - che di solito ricevuto da parte degli studiosi italiani del tempo. In Italia, fino al 1980, corsi universitari di letteratura sono state insegnate in italiano, e quando in uno dei suoi seminari Pagnini una volta bisogno di leggere un brano di Ulisse in versione quasi non è riuscito a reprimere una nota di diffidenza e ironia verso "Il Nostro buon de Angelis ". A giudicare, però, dal tono della sua lettera, come si vedrà, Pagnini aveva privatamente un parere molto diverso del traduttore, e gli mostrò la stima e la cortesia. Ricordo che de Angelis 'Guida alla lettura dell'Ulisse, oggi molto rivalutato da un punto di vista storico, non è stato esplicitamente inserito tra i set di libri di corsi di Pagnini. In altre parole, De Angelis ha avuto la fama di un dilettante temeraria nei circoli accademici.

Ma dopo tutto si trova su Internet una biosketch di de Angelis a

http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=comparc&Chiave=290768&RicFrmRicSemplice= de%20angelis

&RicProgetto=personalita&RicSez=complessi&RicVM=ricercasemplice

that anyone may read.
In circa 20 righe stiamo qui informati che era davvero nato a Firenze, si trasferisce a Genova, quando aveva 14 anni, tornò a Firenze, quando scoppiò la guerra, ha studiato greco e latino al Liceo classico locale, ed è stato molto abile nelle lingue moderne. Ha poi preso una laurea in inglese nel 1947, discutendo una tesi dal titolo "De Quincey e la lingua inglese" all'Università di Firenze sotto la supervisione di uno dei pionieri degli studi inglesi in Italia, Giordano Napoleone Orsini. Pagnini e de Angelis possono aver avuto modo di conoscersi presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Firenze, dal Pagnini, quattro anni de Angelis 'anziano, si è laureato nel 1946 ci (con un certo ritardo a causa della guerra). Eppure de Angelis non è mai diventato un accademico, come ho detto, e forse non ha mai provato a diventare uno per tutti il suo talento (anche se non sappiamo la ragione), e invece ha insegnato inglese per anni nelle scuole secondarie. Opere Oltre a Ulysses ha anche tradotto da Faulkner, G. Greene, Hawthorne, Steinbeck,Virginia Woolf. Mi è capitato di aver modificato nel 1979, prima di iniziare a studiare seriamente Joyce, de Angelis traduzione 'di The Waves (Milano, Rizzoli, con un'introduzione di Stephen Spender). Tanto per dare un'idea del suo stile linguistico, de Angelis è stato anche il traduttore di opere francesi e tedesche (tra cui, non meno, Venus im Pelz da von Sacher-Masoch!). E per testimoniare il suo curioso eclettismo negli anni Sessanta che ha scritto sul cinema e la musica in riviste specializzate, mentre anche la traduzione libretti di inglese per il Maggio Musicale Fiorentino. Guido Fink, lo visita alla fine degli anni ottanta, ha trovato una casa disordinatamente piena di libri e dischi. La musica è un'altra passione de Angelis aveva in comune con Pagnini.
Pochi probabilmente sanno che De Angelis non è stato commissionato da Mondadori a tradurre Ulisse in collaborazione con tre professori eminenti, Cambon, Izzo e Melchiori (in ordine alfabetico). Tale collaborazione non ha preso forma. Al contrario, come Anna Maria Aiazzi indichi chiaramente nel suo eccellente articolo Il plasmarsi Di Una Traduzione memorabile:. Giulio de Angelis traduce 'Ulisse' di Joyce ("Rivista di Letterature moderne e comparate", LXII, 4, 2009, pp 447- 473), de Angelis ha iniziato e completato la traduzione "benda", senza alcun contratto con un editore, e solo durante il lavoro o verso la sua realizzazione l'ha presentato a Mondadori. Mi ero fino a poco tempo all'oscuro di questo fatto, dopo aver chiesto a lungo perché Mondadori non è riuscito a ottenere Alessandro Francini Bruni coinvolto nella traduzione o di nominare lui al pannello di revisori. Francini Bruni fu senza dubbio, quando la traduzione ha preso il via, il superstite amico italiano più vicino di Joyce, e potrebbe quindi fornire un sacco di informazioni di base. Aveva vissuto a Firenze ininterrottamente fin dai primi anni Venti, ma lui non sembra essere stato consultato dal de Angelis in alcun modo. Strano e misterioso quanto possa sembrare, la signora de Angelis ultimamente mi ha confermato verbalmente che il marito non aveva mai sentito parlare, e tanto meno mai incontrato, Alessandro Francini Bruni.
Una lettera de Angelis ha ricevuto dal drammaturgo americano Thornton Wilder nel 1949, e dato da Aiazzi nel suo articolo, dimostra che, nonostante il fatto che le traduzioni francese e tedesca Ulysses avevano ormai già apparso, scrittori e critici autorevoli hanno continuato a considerare Ulisse intraducibili, e che chi ha tentato un tale compito è stato un "folle". Wilder scoraggiato de Angelis perché Joyce in persona non è a sua disposizione per le query, come lo era stato per i traduttori precedenti, e perché gli mancava una vasta gamma di strumenti, come i libri di critica, dizionari, e "una grande biblioteca in lingua inglese ". Ma per saperne di più del reale avanzamento dei lavori da de Angelis, delle attrezzature con cui ha lavorato, e la varietà dei suoi contatti con gli esperti, si dovrebbe vagliare in modo approfondito il "fondo de Angelis", ora al Gabinetto Vieusseux a Firenze - qualcosa che è oltre la portata di questo saggio.

******************
22/5/15
Translator de Angelis and critic Pagnini on how to render a passage in Ulysses, Part II
Qui di seguito la seconda parte del mio articolo: valgono le cose che ho scritto nel cappello introduttivo della prima parte, a cui rinvio. As far as de Angelis’ approach to the Joycean text is concerned, Aiazzi, who received this … Continua a leggere 
Pubblicato in JoyceMarcello Pagnini | Contrassegnato  | Lascia un commento

***************
22/515
Translator de Angelis and critic Pagnini on how to render a passage in Ulysses, Part III
 Terza e ultima parte del mio saggio o articolo: notizie del quale trovate al cappello introduttivo della prima puntata. Seguirà a giorni un post dal titolo “Il punto su Joyce”… And here is an English translation of the letter: 03/18/88 … Continua a leggere 
Pubblicato in JoyceMarcello Pagnini | Contrassegnato , | Lascia un commento

********************
25/5/15 copiato da
Un seminario sulle traduzioni dell’Ulisse  (Genova, maggio 2013)

di Marta Bruni


Come dovrebbe avvicinarsi il lettore, e ancor più il traduttore, al materiale esplosivo, “da maneggiare con cura”, rappresentato dall’opera di James Joyce? Questo il tema affrontato nella densa giornata di seminario su James Joyce e le traduzioni italiane di Ulisse che si è tenuta presso il Dipartimento di Lingue e Culture Moderne dell’Università di Genova il 27 maggio 2013, e a cui hanno partecipato esperti e studiosi di Genova, Milano, Perugia e Trieste. L’incontro, che è stato organizzato da Massimo Bacigalupo per gli studenti della Scuola di Dottorato in Culture classiche e moderne e dottorandi di Letterature comparate euro-americane, si è svolto nella storica cornice della Sala di Lettura della Biblioteca di Lingue, in Piazza Santa Sabina 2 a Genova.

Bacigalupo ha spiegato che l’occasione per la realizzazione del seminario “Tradurre ULYSSES di James Joyce” è stata la pubblicazione della nuova traduzione dell’Ulisse a firma dello scrittore Gianni Celati nella collana “Letture” per Giulio Einaudi editore, traduzione che va ad aggiungersi a quella storica “autorizzata” di Giulio de Angelis realizzata nel 1960 per Mondadori con la consulenza di Glauco Cambon, Carlo Izzo e Giorgio Melchiori, ed a quella di Enrico Terrinoni con Carlo Bigazzi pubblicata nel 2012 da Newton Compton.


La prima sessione, moderata da Bacigalupo, ha visto il contributo di Antonio Bibbò (Università degli Studi di Genova) e della psicoanalista Costanza Costa che hanno rispettivamente contestualizzato l’opera dello scrittore irlandese nella temperie culturale del tempo e focalizzato l’interesse di Jacques Lacan sulla persona di James Joyce.

Antonio Bibbò nel suo contributo dal titolo “Ulysses e la coralità romanzesca” ha sottolineato come quello di Joyce sia un romanzo che ben si può inserire nella tradizione ottocentesca del “romanzo corale” dove il ruolo del protagonista è diviso tra diversi personaggi, come avviene ad esempio in W.M. Thackeray, George Eliot, Gustave Flaubert ed Émile Zola. E’ il momento della storia della letteratura in cui, per dirla con György Lukács, ci troviamo di fronte ad un’apertura democratica del romanzo, e dove questo diventa “un contenitore della vita”. Joyce è un prodotto dell’epoca vittoriana e ne usa e trasforma gli artifici stilistici, in questo caso la tradizione del romanzo corale gli permette di allargare lo spettro della narrazione trasformando però il coro in una dissonanza di voci, come avviene negli episodi di Ade, Eolo, o Rocce Erranti.


Con una struttura simile all’impaginazione di un quotidiano dove troviamo simultaneamente notizie della natura più diversa, dalla politica allo sport, dall’economia alla cultura, accanto a pezzi di colore locale e a una profusione di annunci pubblicitari, James Joyce ha cercato di riprodure la “simultaneità” (così simile a certe pagine del web, ha suggerito Bibbò) nella struttura corale dell’Ulisse. In questa visione narrativa, ogni storia ha la sua dignità romanzesca, tutti i personaggi, anche i minori, hanno “diritto di romanzo”. Quindi particolare attenzione andrebbe riservata – suggerisce Bibbò – al “sistema dei personaggi” poiché spesso il “Doppelgänger” e i personaggi minori rappresentano aspetti inespressi del protagonista principale. Come sarà possibile vedere qualche anno più tardi nei film di Walther Ruttmann (1927) e di Dziga Vertov (1929), tutti gli abitanti della grande città hanno un loro ruolo nella composizione della sinfonia della metropoli, perché - come inDubliners e in Ulysses – infine è tutta la città ad essere la vera protagonista della narrazione.

A questa lettura di un Ulisse “corale” è stata contrapposta la visione di una scrittura “polifonica”, suggerita durante il dibattito da Giovanni Cianci (Università degli Studi di Milano), rifacendosi alla “cinematografica” visione simultanea della città propugnata dai Futuristi, il cui linguaggio “rumorista” Joyce ebbe modo di conoscere durante il suo soggiorno triestino, e che risuona forte e chiaro nell’animismo degli episodi di Eolo e di Circe, dove anche gli oggetti “parlano”.

Da una riflessione sul linguaggio glossolalico pre-babelico è partita invece la relazione della dottoressa Costanza Costa. L’intervento della psicoanalista di Genova prendeva spunto dalla recente pubblicazione sulla rivista Lettera degli atti del colloquio franco-italiano“Joyce e l’Arte: supplenza, sublimazione, sinthòmo” organizzato lo scorso anno anno a Trieste dall’Associazione Lacaniana Italiana di psicoanalisi in collaborazione con Espace Analityque e l’Association de psychanalyse Jacques Lacan.

Nel suo intervento intitolato “...non poteva smettere di scrivere: spunti per una lettura psicoanalitica di Joyce”, la dottoressa Costa ha citato in particolare i contributi di Massimo Recalcati, di Gerard Pommier e di F Briolais e M. Mesclier in cui è analizzata l’idea che la scrittura, la creatività artistica, possano avere una funzione di supplenza e rappresentare un processo di sublimazione, ovvero un processo grazie al quale la “soddisfazione pulsionale” si ottiene per altre vie rispetto a quelle sessuali. L’interesse di Lacan per la figura di Joyce coincide con l’ultima fase del suo pensiero e sfocia in una nuova lettura clinica delle psicosi: “L’essere normale è essere fuori discorso: è essere pazzo” dice Lacan nel XXIII seminario Il Sinthomo 1975-1976. Secondo lo psicoanalista francese, Joyce (a differenza della figlia Lucia) ha evitato di diventare folle trasformandosi in un libro, e non un libro qualsiasi, ma in un’opera d’arte.
James Joyce supplisce alla carenza del rapporto col suo fallimentare padre John Stanislaus Joyce attraverso il sintomo della scrittura, sostiene Massimo Racalcati, rendendo quindi possibile “un’eredità senza il Nome del Padre” perché l’opera d’arte fornisce allo psicotico lo “sgabello” dove salire e proclamare la propria dignità d’artista. Ma come “darsi” un nome? Tramite una scrittura glossolalica, suggerisce Gérard Pommier, ovvero la lingua del padre primitivo che gode senza limiti. Il nome proprio che James Joyce si forgia attraverso la sua scrittura creativa è dunque un “grido glossolalico” che trasforma la lingua in nome proprio e supera il nome del grande padre edipico e s’identifica con dio.


Questo concetto carica l’opera di Joyce di “sacralità” alimentata dalla fede dei suoi devoti, ma rischia però d’intimorire “the common reader”. Lettore comune per il quale l’oggetto Ulisse altro non è che una “commodity”.

Alla storia di questo prodotto “libro” ed alle avventure editoriali dei testi joyciani in Italia è stato dedicato l’intervento di Sara Sullam (Università degli Studi di Milano) su “La ricezione di Joyce nell’Italia del secondo dopoguerra”, che ha aperto la seconda sessione del Seminario moderata dal Prof. Giovanni Cianci dell’Università degli Studi di Milano.

Il contributo di Sara Sullam nasce da un’approfondita ricerca di archivio presso i fondi della casa editrice Mondadori, gli archivi dei manoscritti di Pavia e altre istituzioni e getta luce sulle ragioni che portarono all’uscita dell’Ulisse in Italia solo nel 1960, ovvero con 38 anni di ritardo rispetto all’apparizione del libro a Parigi nel 1922, nonostante la mediazione tentata da Carlo Linati quando lo scrittore irlandese era ancora in vita.


Certamente ci furono inizialmente problemi con la censura fascista, ma gli ostacoli maggiori vennero in realtà da Joyce, che voleva vendere i diritti d’autore solo ad una casa editrice italiana di primo piano disposta a pubblicare la sua opera completa e non solo l’Ulisse. Una volta trovato l’accordo con la Mondadori i problemi successivi vennero creati dagli eredi, secondo i quali l’Ulisse doveva essere tradotto solo da un grande poeta, ma i vari Montale, Pavese e Vittorini rifuggirono l’offerta come la peste. Durante tutti gli anni ‘30 James Joyce in Italia fu conosciuto come autore di prose brevi e come tale ebbe un successo di “genere”. Solo negli anni ‘40, quelli delle piccole esperienze editoriali, riconducibili alla cosiddetta “piccola editoria di liberazione” che si diffuse fino al 1955, si ebbe infine la scoperta del modernismo novecentesco da parte di giovanissimi editori e fondatori di riviste. Come nel caso del volume del 1947 edito da Enrico Cederna che raccoglieva le traduzioni di Alberto Rossi di poesie, dell’episodio di Proteo e di un saggio di Joyce.

Mentre la casa editrice Mondadori seguitava a richiedere proroghe agli eredi perché non riusciva a trovare un traduttore per l’Ulisse, James Joyce in Italia si era fatto la fama di “maggior poeta irlandese”, finché non apparve il fiorentino Giulio de Angelis che aveva pronta una sua versione che venne poi rivista e corretta da un gruppo di accademici. La prima tiratura fu di 20.000 copie e l’impatto fu immediato dagli autori del Gruppo ‘63 a Carlo Emilio Gadda fino a Umberto Eco e alla suaOpera aperta.

Tradizione, traduzione, trasferimento, transfert, tradire: ricreare. Questi i temi affrontati da Enrico Terrinoni (Università per Stranieri di Perugia) e autore con Carlo Bigazzi della traduzione dell’Ulisse uscita nel 2012 per i tipi della Newton Compton. Il titolo del suo intervento era: “Tradurre l’Ulisse come ‘ritorno’ alla modernità”. Lo studioso joyciano ha esordito dicendo che il grande libro di Joyce è “una metafora del ritorno” in quanto riporta a luoghi familiari al lettore occidentale, in primis al mito classico, a Omero, ma anche ai miti celtici, nonché alla vita vera e – infine – all’Irlanda.


La traduzione – ha dichiarato – è una resa, nel senso di rendere, ma anche arrendersi. Un’operazione democratica che secondo Giordano Bruno è la fonte di tutte le scienze, ma è più adatta agli umili servitori del testo che non a chi vuole mettere in mostra il proprio narcisismo.


Terrinoni ha ironizzato sul fatto che “la traduzione va considerata alla stregua dell’amante di un testo originale e, per quanto riguarda le amanti, più ve ne sono e meglio è.” Ed ha aggiunto che è forse per questo che i traduttori sono spesso a rischio transfert. In quest’ottica è passato a fare una serie di esempi di passi del testo, spiegando le sue scelte di traduzione.

Nell’incipit del libro: Stately, plump Buck Mulligan, a differenza della versione di de Angelis – «Solenne e paffuto» – e dell’«Imponente e grassoccio» di Celati, Terrinoni individua il parallelo shakespeariano, e quindi traduce: «Statuario, il pingue Buck Mulligan» La spiegazione è da ricercarsi nella prima parte dell’Enrico IV, in cui il grasso cavaliere si rivolge al principe Hal dicendo: banish plump Jack and banish all the world (Shakespeare 1996, 431). Per Terrinoni il plump Buck di Joyce è una versione moderna del plump Jack di Shakespeare, ovvero Falstaff stesso. Buck Mulligan viene infatti presentato a più riprese come un buffone, un clown, un fool, un jester. Inoltre Shakespeare avrebbe scritto la parte di Falstafff per lo stesso attore che interpretò tutti i maggiori fool dei suoi primi play, ovvero il comico Will Kempe. Potrebbe non essere un caso, infatti, che nel nono episodio di Ulysses, in cui Falstaff viene citato esplicitamente, di Mulligan si dirà che è «un buffone d’un giullare» dal cranio «ben pettinato» (Terrinoni 2012, 227) – in inglese wellkempt (Will Kempe?).

Un altro esempio proposto dal traduttore prospettava difficoltà per via delle sue molteplici allusioni e si trova nell’episodio del Lestrigoni: Sardines on the shelves. Almost taste them by looking. Sandwich? Ham and his descendants mustered and bred there. Il tutto gravita intorno alla confusione ingenerata dal termine Ham, che in inglese indica sia il prosciutto cotto sia Cam, il figlio di Noè. La soluzione generale del dilemma – ha spiegato Terrinoni - va ricercata in una filastrocca americana che recita: Why should no man starve on the desert of Arabia? Because of the sand which is there. How came the sandwiches there? The tribe of Ham was bred there and mustered. (Gifford 1988, 179). I pun riguardano, quindi, la tribù di Cam, il prosciutto cotto, il sandwich, la sabbia, il pane, la mostarda, i verbi allevare e radunare. Questa dunque la sua traduzione: «Sardine in mostra. A guardarle si sente quasi il sapore. Sandwich? Insacco e i suoi discendenti ammastardati e allievitati lì» (Terrinoni 2012, 187) -- in cui egli ha “tentato di riprodurre al meglio il subdolo termine Ham con una invenzione che si discosta dal testo ma ne mantiene la polisemia e anche i campi semantici, seppure con qualche lieve traslazione. ‘Insacco’, rimanda infatti, anziché al figlio di Noè e al prosciutto, al figlio di Abramo, appunto Isacco, e al mondo degli insaccati. Il resto del passo è un gioco sui termini “ammassare” e “mostarda”, e “allevare” e “lievitare”, che rimandano sì ai campi semantici di partenza (mustered: mustard, passato di to muster; bred: bread, passato di to breed) ma creano degli ibridi in italiano.

Un altro tra gli esempi forniti è il noto dilemma attorno a U.P.: up. Si tratta – spiega Terrinoni - “di un biglietto recapitato a Denis Breen da non si sa chi e per il quale il destinatario si adira talmente da voler sporgere denuncia contro anonimi. È quindi certamente un insulto, e anche grave. De Angelis traduce letteralmente «S.U.: su», Celati: «U.P.: Un pazzo». Partendo da un ragionamento storico-politico-culturale Terrinoni ha tradotto: «P.U.: pu» (Terrinoni 2012, 175), riservandosi di fornire una spiegazione completa dell’enigma in nota.

“La mia versione – ha dichiarato - segue l’interpretazione che vuole l’originale UP essere la sigla del movimento religioso dei Presbiteriani Uniti (UP: United Presbyterian), uso registrato nell’Oxford Dictionary of English. La spiegazione del perché questa etichetta risulti offensiva per un cattolico risiede in un uso del tutto particolare e tipico di Dublino, secondo cui persino la parola protestant può essere assumere un senso spregiativo. Questa soluzione consente, inoltre, di far slittare l’insulto anche sul piano scatologico (“pupù”), oltre a indicare, tramite percorsi onomatopeici, l’atto stesso di insultare una persona non a parole, ma a gesti, simulando l’atto dello sputo «pu!».” Anche in questo caso la traduzione da un lato si discosta molto dall’originale, mentre dall’altro, si avvicina a uno dei possibili significati del testo.

Il lavoro del traduttore sembra dunque quello di recapitare le cosiddette “dead letters”, ovvero quei messaggi di senso smarriti o che rischiano di non arrivare mai al lettore.

Uno strumento per orientarsi in un testo così complesso come l’Ulisse è anche l’individuazione dei cosiddetti “cluster semantici” che sono stati l’oggetto dell’intervento di Elisabetta d’Erme, giornalista culturale e saggista. Nel corso del suo contributo dal titolo “Cos’è una casa senza la pasta di carne Plumtree? I ‘cluster semantici’ nelle traduzioni italiane dell’Ulisse. Note di lettura” ha illustrato come un termine abitualmente usato nella semantica computazionale e nelle neuroscienze sistemiche per indicare una catena di associazioni, possa essere anche applicato nella linguistica per descrivere la struttura ramificata di un’aggregazione di significati. Infatti in un “cluster” (grappolo) l’aggregazione semantica si ha nel momento in cui una serie di termini chiave vengono via via ripetuti e aggregati all’interno di un testo o di un discorso facendosi portatori di una pluralità di significati. “Parole chiave” che possono quindi fungere da ponte, da chiave d’accesso ad altri cluster semantici.

Il grappolo di messaggi di senso legato a un termine, parola, slogan, citazione o a una frase ricorrenti, è uno dei tratti distintivi della scrittura di James Joyce e dell’Ulisse in particolare, dove le cosiddette “parole stampella” accompagnano il lettore lungo tutto il romanzo e concorrono alla costruzione e allo sviluppo del testo, fungendo non solo da guida, ma anche da pilastri portanti della struttura narrativa. E’ il caso – ad esempio - di bowl (ciotola), cod (baccalà), keys (chiavi), throwaway (volantino), brood (meditare),“lovely seaside girls”, Plumtree Potted Meat e tanti altri ancora.


Se per il lettore è importante individuare questi “scrigni di senso” ancor più lo è per il traduttore, perché se non viene chiaramente identificato si rischia di snaturare il “semantic cluster”, traducendolo o interpretandolo in modo diverso ogni qualvolta si ripresenta nel testo, come purtroppo accade nella traduzione dell’Ulisse di Gianni Celati.

Elisabetta d’Erme ha poi analizzato una serie di soluzioni per cluster semantici presenti nell’Ulisse, adottate nelle loro traduzioni da Giulio de Angelis, da Enrico Terrinoni e da Gianni Celati. Nello specifico partendo da “Give up the moody brooding” ha comparato le traduzioni del cluster che cresce attorno al termine “brooding” (to brood), per passare poi allo slogan della Plumtree’s Potted Meat, cluster capace di generare un’articolata ramificazione di significati, ed infine a quello legato al bisticcio tra l’asserzione “throw it away”, il cavallo da corsa Throwaway e il throwaway (volantino) che annuncia l’arrivo del profeta Elia.

Sulla base dei numerosi esempi è risultato evidente il pericolo che, imbattendosi in una serie di ripetizioni, il traduttore possa essere tentato di utilizzare sinonimi per termini che andrebbero invece resi sempre con un’unica soluzione, e che un ampio ricorso alla “sinonimia” possa creare il rischio che “parole chiave” fraintese, o inopinatamente mascherate dai sinonimi, diventino irriconoscibili, lasciando il lettore senza punti di riferimento.

In quest’ottica, assai istruttiva e divertente è apparsa l’analisi dello sviluppo nel testo dello slogan pubblicitario:

What is home without
Plumtree’s Potted Meat?
Incomplete.
With it an abode of bliss


che nell’Ulisse appare per la prima volta nel 5° episodio, i Lotofagi. Un “cluster” di importanza cruciale – ha sottolineato d’Erme - perché in 4 righe riassume praticamente il romanzo: “la storia di un uomo alla ricerca di un po’ di felicità (bliss), ma la cui vita coniugale non funziona, perché in casa sua ‘to pot one’s meat’, ovvero a copulare con sua moglie, ci pensa qualcun altro, col rischio di ritrovarsela anche ‘up a plumtree’, vale a dire ingravidata. Insomma, la vita sessuale di Poldy Bloom è incompleta e lo sarà finché nel suo letto troverà i resti della ‘pasta di carne’ consumata da Blazes Boylan (l’amante della moglie).” Come sono state recepite e tradotte le associazioni di significato suggerite dal cluster?

Una casa cos’è
se la pasta di carne Plumtree non c’è?
Incompleta.
Quando c’è è una casa da re. (de Angelis, p. 104)

Che casa è
senza la pasta di carne Plumtree?
Una noia.
Se c’è, una dimora di gioia.(Terrinoni, p. 99)

Celati ne propone diverse versioni (arbitrarietà che d’Erme ha riscontrato anche in altri cluster, come citazioni, toponomastica, refrain di canzoni). In Lotofagi:

Cos’è una casa senza
la carne in scatola Plumtree?
Ben povera credenza
Anche se fosse quella del re (Celati, pp. 27-30)

In Lestrigoni
Cos’è una casa senza la carne in scatola Plumtree?
(…) (manca Incomplete) (...)
Se la carne in casa c’è, è una casa da re. (Celati, pp. 235-36)

In Itaca:
Cos’è una casa senza la carne in scatola Plumtree?
Incompleta
Con quella siete in paradiso (Celati, p. 850)

Soluzioni in cui vanno persi alcuni dei significanti chiave del cluster, quali “Potted Meat”, che non va scambiata con “canned meat” (carne in scatola), quali l’aggettivo “Incomplete” così carico di messaggi riferiti non solo a Leopold Bloom, e infine il termine “bliss” con le sue variazioni cannibaliche:

Ham and his descendants mustered and bred there. Potted meats. What is home without Plumtree’s potted meat? Incomplete. What a stupid ad! Under the obituary notices they stuck it. All up a plumtree. Dignam’s potted meat. Cannibals would with lemon and rice. White missionary too salty. Like pickled pork. Expect the chief consumes the parts of honour. Ought to be tough from exercise. His wives in a row to watch the effect. There was a right royal old nigger. Who ate or something the somethings of the reverend Mr MacTrigger. With it an abode of bliss.

Passo tradotto creativamente sia da de Angelis (p. 232) che da Terrinoni (p. 187), mentre presenta problematiche elisioni nella versione di Celati (p. 235-36):

Pro-sciutto: stirpe suina selezionata e allevata pro-panino. Cibo che si conserva. Cos’è una casa senza la carne in scatola Plumtree? (...) Pubblicità cretina. Sono andati a incollarla sotto gli annunci mortuari. (...) Sotto la carne inscatolata di Dignam. I cannibali la mangerebbero con riso e limone. Il missionario bianco troppo salato. Come maiale in salamoia. Suppongo che il capo tribù mangi le parti onorifiche. Forse gommose da masticare per via dell’esercizio. Le mogli in fila per vedere l’effetto che fa. C’era un vecchio monarca nero che mangiò un pezzo della cosa d’un prete austero. Se la carne in casa c’è, è una casa da re.
· dove manca l’aggettivo INCOMPLETE (che può essere riferito alla casa/alla felicità/alla famiglia Dignam che ha perso il padre/al missionario che ha perso i suoi ammennicoli ecc.); ma anche la traduzione di ALL UP A PLUMTREE, che Gifford e Seidman informano essere “Slang for cornered, done for; or trapped in an unwanted pregnancy.” e che d’Erme suggerisce si potrebbe tradurre con “tutti gabbati!”; ma cornered suggerisce anche l’associazione con corned beef (pasticcio di carne lessa). Il “cibo che si conserva” di Celati e altre soluzioni adottate dallo scrittore sembrano dunque portare il lettore molto lontano dall’abode of bliss rappresentato da una casa dove potted meat c’è.

Come dovrebbe dunque districarsi il traduttore di Joyce nel labirinto dei “realia”, dei “cluster”, e delle “dead letters”? Se l’Ulisse è tutto un gioco, chi detta le regole? Ne è seguita un’animata discussione sull’appeal che può avere oggi una versione d’autore rispetto a quella di un artigiano qual è il traduttore professionista, ma anche sulle libertà che ci si può permettere, in particolare di fronte a un testo (quasi) sacro come quello dell’Ulisse di James Joyce. Un ascoltatore ha riferito quanto detto recentemente da un giovane traduttore: tradurre significa convivere a lungo e per forza con un’altra persona o presenza, la quale fra l’altro comanda. I traduttori-autori (celebre il caso di Vittorini) cercano in qualche modo di sfuggire a questa sudditanza.
Riferimenti bibliografici
James Joyce, Ulysses – Annotated Student’s Edition, Penguin, London 1992. 
James Joyce, Ulisse,  traduzione di Giulio de Angelis, consulenti Glauco Cambon, Carlo Izzo,
Giorgio Melchiori, Mondadori, Milano 1960.
James Joyce, Ulisse, traduzione e cura di Enrico Terrinoni con Carlo Bigazzi, Newton Compton,
Roma 2012.
James Joyce, Ulisse, traduzione e introduzione di Gianni Celati, Einaudi, Torino 2013.
2013


3/6/15
"Dribbling a quiet message from his bladder came to

go to do not to do there to do. A man and ready he drained his glass to the lees and walked, to men too they gave themselves, manly conscious, lay with men lovers, a youth enjoyed her, to the yard."
De Angelis 1960:
Goccia a goccia un silenzioso messaggio dalla vescica venne di andare a fare non fare fare lì fare Uomo e pronto vuotò il bicchiere fino alla feccia e si mosse, si davano anche agli uomini, virilmente conscio, si giacevano con amanti terreni, un garzone la godé, verso il cortile.
TERRITONI:
Gocciolando un tranquillo messaggio dalla vescica giunse per andare a fare a non fare lì a fare. Da uomo sicuro tracannò il bicchiere fino alla feccia e s’incamminò, anche agli uomini se stesse concedevano, virilmente consce, giacevano con amanti uomini, un giovane ha goduto di lei, al cortile.

CELATI:
Gocciolante quieto messaggio giunse dalla vescica per mandarlo a fare, a non farla lì nel farla.Da uomo pronto vuotò il bicchiere fino alla feccia e vi andò, anche a uomini si davano, virilmente consapevoli, giacevan con amanti, un giovine godè di lei, nel cortile

Come lo penso io:
Gocciolando, un silenzioso messaggio arrivò dalla sua vescica per andare a fare... non fare lì, (presto!!! va) a fare.Da uomo sicuro tracannò il bicchiere fino alla feccia e andò, anche ai mortali esse si concedevano, , giacevano con amanti mortali, virilmente conscio un ragazzo godè di lei, nel cortile.
Per
"Dribbling a quiet message from his bladder came to go to do not to do there to do. A man and ready he drained his glass to the lees and walked, to men too they gave themselves, manly conscious, lay with men lovers, a youth enjoyed her, to the yard."   ( 8.933-36)

Traduco con Google  Da

Joyce and Prose: An Exploration of the Language of Ulysses


The narrative matter  and Bloom's  reflexions on godness intermingle, but still another strain of language flickers in and outthe apposition  a man and ready, preceding the pronoun, belongs to another  style  than that of Joyce's narrative sentences; such an irregularly concise way of expressing virile determination risks sounding a trifle pompous outside of heroic context in verse or prose; to the lees, as has been noted, suggests "Ulysses" but the direction of Bloom's mithological recollections brings to mind the poeme Tennyson placed just after "Ulysses" in English Idyls "Tithonus"It would be clumsy to make up psychological explanations for this overlapping: Joyce is enjoying one of his occasional and quite pointed departures from a convention of language he himself has established. Not Bloom but Joyce has the literary references in mind, if we must make realist distinctions. The concluding passage of Lestrygonians contains the chapter's greatest involution in sintax, in keeping with  Joyce's taste
for striking endings)
    Traduco con Google 
La materia narrativa e le riflessioni di Bloom su dea si mischiano(sulla promiscuità delle dee?) , ma ancora un'altra varietà di linguaggio balena dentro e fuori : l'apposizione di un uomo e pronto, che precede il pronome, appartiene a uno  stile diverso da quello delle frasi della narrativa di Joyce; come un  modo irregolarmente conciso di esprimere determinazione virile rischia di suonare un po 'pomposo al di fuori del contesto eroico in versi o in prosa;  per le fecce, come è stato notato, suggerisce "Ulisse", ma la direzione di ricordi mitologiche di Bloom riporta alla mente il Poeme Tennyson posta proprio dopo "Ulisse" in inglese idilli "Titone" Sarebbe goffo dare spiegazioni psicologiche per questa sovrapposizione: Joyce sta godendo una delle sue partenze occasionali e piuttosto acute da una convenzione del linguaggio che lui stesso ha stabilitato. Non Bloom ma Joyce ha in  mente riferimenti letterari, se dobbiamo fare distinzioni realistiche. Il passaggio conclusivo di Lestrigoni contiene grande involuzione nella sintassi del capitolo, in linea con il gusto di Joyce per finali sorprendenti.

*************************
3/6/15                                          
                                          Quando Ulisse sbarcò in America
Dalla prima pubblicazione l'Ulisse di Joyce subì censure.
Negli USA venne reso stampabile grazie a un escamotage entrato nella storia della letteratura.
Di Davide Piacenza

*************
4 ottobre 2015
da 
https://www.google.it/search?q=immagine+di+Ulisse+prima+edizione+Sylvia+Beach&newwindow=1&espv=2&tbm=isch&imgil=QmFB6I1LcQj-yM%253A%253BL29bPFh4WRR0PM%253Bhttp%25253A%25252F%25252Fwww.umbertocantone.it%25252Fulisse-ulysses-prima-edizione-italiana%25252F&source=iu&pf=m&fir=QmFB6I1LcQj-yM%253A%252CL29bPFh4WRR0PM%252C_&usg=__cvFUfwKImxS-vXAtn25zPJ9Uv18%3D&biw=1314&bih=754&ved=0ahUKEwiVice_0avTAhXF7BQKHahvAYMQyjcIQg&ei=eMj0WJXtIsXZU6jfhZgI#imgrc=QmFB6I1LcQj-yM:
Da 
http://www.christies.com/lotfinder/Lot/joyce-james-ulysses-london-printed-for-the-4931855-details.aspx


JOYCE, James. Odisseo. Londra: stampato per The Egoist Press, Londra da John Rodker, Paris, 1922. 

4o. Involucri di carta blu, uncut (scheggiature e scissione di giunti e bordi);cofanetto di stoffa. 


PRIMA EDIZIONE INGLESE, NUMERO LIMITATO, il numero 1.901 di 2.000 copie su carta fatta a mano, del capolavoro di Joyce, stampata a Digione dalle lastre originali. Harriet Weaver, editore del The Egoist, ha inviato Joyce un anticipo di £ 200 per questa edizione, e descritto la sua stampa in una lettera al collettore Joyce e bibliografo, John Slocum: "Quando prima edizione di Miss Sylvia Beach diUlisse è stato esaurito in estate del 1922, l'Egoist Press ha acquistato da lei i piatti che erano state fatte dalle stampanti francesi e fissa un po 'curioso edizione. Stampato a Digione per le stampanti [Darantiere] è stato, come annunciato nella pagina del titolo, 'Pubblicato dalla Egoist Press, London, da John Rodker, Parigi,' l'edizione, uno privato come miss Beach, che comprende 2.000 copie. John Rodker assunto una stanza a Parigi a fungere da ufficio. copie dal stampanti sono stati consegnati a lui lì e lui spedito per posta a tutte le persone che ci aveva dato ordini diretti per il libro, incluse le persone negli Stati Uniti e altrove all'estero ". (Ellmann, 521) John Rodker è stato un assiduo collaboratore diThe Egoist quale Joyce incontrati la prima volta a Parigi nel luglio 1920: "Rodker salvato la famiglia dalla fame [Joyce] da tutti invitando a cena, e durante la cena preso accordi sperimentali stampare Ulisse in Francia, con il sostegno finanziario del l'Egoist ". (Ellmann, 505) Slocum e Cahoon A18.
Questa copia di Ulisse costa un quarto di milione di sterline.  Immagine: Peter Harrington
Questa copia di Ulisse costa un quarto di milione di sterline.
 
Immagine: Peter Harrington

da

Prima Edizione


24/2/16
1/5/2017    
da

Nel segno di Proteo: Da Shakespeare a Bassani


Di Guido Fink 
                  
31/7/18
articolo di
Flavio Santi
Scrittore. Il suo ultimo romanzo è L'estate non perdona. La nuova indagine dell'ispettore Furlan 
(Mondadori, 2017).
su
http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/percorsi/percorsi_124.html

24/8/18

Per sottoporre  a Joyce un suo SAGGIO di presentazione all'edizione tedesca di ULISSE
contenuta in un articolo di MASOLINO D'AMICO  "Perché siamo figli di Joyce"  del 1882 in commemorazione della nascita di Joyce

Nessun commento:

Posta un commento