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Ulisse- 3 episodio :Proteo
versione originale inglese da  
Trad Giulio De Angelis   
Arnoldo Mondadori  Editore
XI Edizione Medusa Agosto 1970
 

quadro 1°: Modalità del visibile...il pensiero attraverso i miei occhi.


Ineluttabile modalità del visibile: almeno questo se non altro, il pensiero attraverso i miei occhi. Sono qui per leggere le segnature di tutte le cose, uova di pesce e marame, la marea avanzante, quella scarpa rugginosa. Verdemoccio, azzurrargento, ruggine: segni colorati. Limiti del diafano. Ma lui aggiunge: nei corpi. Dunque ne era conscio in quanto corpi prima che in quanto colorati. Come? Battendoci sopra il cranio, si capisce. Vacci piano. Calvo egli era e milionario, maestro di color che sanno. Limite del diafano in. Perché in? Diafano, adiafano. Se puoi farci passare attraverso le cinque dita della mano è un cancello, altrimenti è una porta. Chiudi gli occhi e vedrai.
Stephen chiuse gli occhi per sentire le sue scarpe schiacciar scricchiolanti marami e conchiglie. Ci cammini attraverso comunque. Io lo faccio, un passo alla volta. Un brevissimo spazio di tempo attraverso brevissimi tempi di spazio. Cinque, sei: il nacheinander. Esattamente: e questa è l’ineluttabile modalità dell’udibile. Apri gli occhi. No. Gesù! Se cadessi da una roccia che strapiomba sulla sua base, cadessi attraverso il nebeneinander ineluttabilmente. Me la cavo abbastanza bene al buio. La mia spada di frassino mi pende al fianco. Con quella picchietta: loro fanno così. I miei due piedi nelle sue scarpe sono all’estremità delle sue gambe, nebeneinander. Suona solida: creata dal maglio di Los Demiurgos. Mi avvio all’eternità lungo la spiaggia di Sandymount? Crasc, crac, cric, criic. Monete del mare selvaggio. E tutte Dominie Deasy le sa.
Vuoi venire a Sandymount
Cavallina Maud?
Il ritmo attacca, vedi. Odo. Un tetrametro catalettico di giambi in marcia. No, al galoppo: lina Maud.
Apri gli occhi ora. Lo farò. Un momento. tutto scomparso da allora? Se li aprissi e rimanessi per sempre nel nero adiafano. Basta! Voglio vedere se posso vedere.
Adesso vedo. Lì tutto il tempo senza di te: e sempre sarà, nei secoli dei secoli.

2° quadro: Le levatriciCreazione dal nulla, i cordoni ombelicali e la comunione del tutto, il Padre e il Figlio sono consustanziali? l'eresia del povero caro Ario

Scendevano la scala di Leahy's terrace prudentemente, Frauenzimmer: e giù per il lido declive mollemente i loro piedi appiattiti affondanti nella sabbia stacciata. Come me, come Algy, scendendo verso la madre nostra possente. Il numero uno dondolava pesantemente la sua borsa da levatrice, l'ombrellaccio dell'altra pungolava la spiaggia. Dal rione delle Liberties, il loro giorno di libertà. Mrs Florence MacCabe vedova del fu Patk MacCabe, profondamente rimpianto, di Bride Street. Una sua consorella mi trasse urlante in vita. Creazione dal nulla. Che cos'ha nella borsa? Un aborto con un cordone ombelicale strasciconi, soffocato in ovatta rossastra. I cordoni di tutti son legati l'uno all'altro nel passato, cavo intrecciato d'ogni carne. Ecco perché i monaci mistici. Volete essere simili a dèi? Contemplatevi l'onfalo. Pronto. Parla Kinch. Mi dia Edenville. Alef, alfa: zero, zero, uno.
Sposa e compagna di Adamo Kadmon: Heva, I'ignuda Eva. Non aveva ombelico. Contempla. Ventre senza macchia, gonfio e grosso, un brocchiere di pergamena tesa, no, bianco acervo di grano, splendido e immortale, eretto da eternità ad eternità. Grembo del peccato.
In grembo alla tenebra del peccato fui anch'io, creato non generato. Da loro, l'uomo con la mia voce e i miei occhi e una donna fantasma con la cenere nelI'alito. Si congiunsero e si separarono, fecero il volere dell'accoppiatore. Fin da prima che fosse il tempo Egli mi volle e né ora né mai può disvolermi. Una lex eterna Lo circonda. È questa dunque la divina sostanza entro la quale il Padre e il Figlio sono consustanziali? Dove è il povero caro Ario che metta alla prova le conclusioni? Che si batta tutta la vita contro la contransmagnificagiudotambanzialità. Eresiarca sotto mala stella. In un cesso greco dié l'ultimo respiro: eutanasia. Con la mitra imbrillantata e il pastorale, insediato nel suo stallo, vedovo di vedovata cattedra, con l'omoforio eretto, col deretano impeciato.
Le brezze gli caracollavano intorno, brezze mordenti e frizzanti. Eccole, le onde. I cavalli marini biancocriniti, ribelli al morso, imbrigliati da lucide brezze, corsieri di Mananaan.


Non devo dimenticarmi della sua lettera per la stampa. E poi? Al Ship, a mezzogiorno e mezzo. A proposito andiamoci piano con quei soldi da bravo giovane idiota. Sì, devo.
Rallentò il passo. Eccoci. Vado o no da zia Sara? La voce del mio padre consustanziale. Hai più visto ultimamente tuo fratello Stephen l'artista? No? Non sarà mica al Strasburg terrace con zia Sally? Non potrebbe trattarsi un po ' meglio, eh? E e e e dicci un po' Stephen, come sta zio Sì? Dolentissimo Dio, sa che razza di cose mi sono legato col matrimonio! Zacazzini in zoffitta. Quel merciaio ambulante ubriacone e suo fratello il suonatore di cornetta. Onoratissimi gondolieri. E Walter con gli occhi torti che dà del signore al padre, niente di meno. Signore. Sissignore. Nossignore. Gesù si dolse: e non c'è da stupirsene, per Cristo!
Suono il campanello asmatico della loro casuccia con le persiane chiuse: e aspetto. Mi pigliano per un creditore, sbirciano da una feritoia.
- È Stephen, signore.
- Fallo entrare. Fa entrare Stephen.
Si tira il catenaccio e Walter mi dà il benvenuto.
- Si credeva fosse qualcun altro.
Nell’ampio letto Zio Richie, fra guanciali e coperte, tende di sopra al monticello delle ginocchia un robusto avambraccio. Pulito il petto. Si è lavato la metà superiore.
- Giorno, nipote.
Mette da parte la tavoletta su cui stende le sue note di spese per gli occhi di Mastro Goff e Mastro Shapland Tandy, protocollando atti di conciliazione, verbali e un mandato di comparizione. Una cornice di quercia nera sopra la testa calva: Il Requiescat di Wilde. Il ronzio del suo fischio ingannevole richiama Walter.
- Cosa c’è, signore?
- Da bere per Richie e Stephen, dillo a mamma. Dov’è?
- Fa il bagno a Crissie, signore.
Compagnuccia di letto di papà suo. Zolletta d’amore.
- No, zio Richie…
- Chiamatemi Richie. Al diavolo sta porca idrolitina. Ti butta giù. Vischi!
- Zio Richie, veramente…
- Accòmodati, o, per Mosè, Harry, ti accomodo io.
Walter sbircia attorno cercando invano una sedia.
- Non ha su cui sedersi, signore.
- Non ha nulla da posarci le mele, allocco. Porta la nostra sedia Chippendale. Vuoi un boccone di qualcosa ? Non venirmi a far lo schizzinoso qua dentro. una bella fetta di lardo fritto con un’aringa? Davvero no? Tanto meglio. In casa non c’è altro che pillole per il mal di schiena.
Fischietta battute dell'aria di sortita di Ferrando. Il pezzo più bello, Stephen, di tutta l’opera. Senti.
Il fischio melodioso risuona di nuovo, finemente sfumato, con zampilli dell’aria; pugni stambureggianti sulle ginocchia imbottite.

4° quadro: Case in rovina

Case in rovina, la mia, la sua e tutte le altre. Hai detto ai nobiletti di Clongowes che avevi uno zio giudice e un altro generale nell’esercito. Escine fuori, Stephen. Non è là la bellezza. E neanche nella baia stagnante della biblioteca di Marsh dove leggevi le sbiadite profezie dell' abate Gioacchino. Per chi? Per la marmaglia dalle cento teste del recinto della cattedrale. Odiatore della sua specie, ne fuggì lontano nella selva della follia, la criniera schiumante alla luna, i bulbi degli occhi stelle. Houyhnhnm, dalle narici equine Gli ovali volti equini. Temple, Mulligan cerbiatto, Campbell volpino. Faccia a lama di coltello. O Abba padre, rabido decano, quale torto infiammò loro le cervella? Paff! Descende, calve, ut ne nimium decalveris. Una coroncina di capelli grigi sul suo capo minacciato, vedimelo scendere faticosamente fino al primo scalino dell’altare (descende) brandendo un ostensorio, con occhi di basilisco. Giù, zucca pelata! Un coro si palleggia minacce ed echi ministrando attorno alle corna dell’altare, latino soffiato dal naso dei pretoni che si muovono membruti nelle loro cotte, tonsurati e unti e castrati, grassi della grascia del fior di frumento.
E forse nello stesso istante un prete dietro l’angolo ci fa l’elevazione. Dindindin! E due strade più in giù un altro che lo serra in una pisside. Dindendin! E in una cappella laterale un altro che fa la comunione alla faccia sua. Dindindin! Giù, su, avanti, indietro. Don Occam ci aveva pensato, dottore invincibile. In una nebbiosa mattina inglese il demonietto dell’ipostasi gli titillò il cervello. Abbassando l’ostia e inginocchiandosi sentì nel suo secondo campanello intromettersi il primo campanello del transetto (lui sta elevando il suo) e, alzandosi in piedi, sentì (ora sto elevando io) i loro due campanelli (lui si sta inginocchiando) tinnire in dittongo.
Cugino Stephen, non sarai mai un santo. Isola di santi. Eri terribilmente santo, vero? Hai pregato la Santa Vergine di non farti venire il naso rosso. Hai pregato il diavolo in Serpentine Avenue perché la vedova paffutella davanti a te alzasse un po’ di più la sottana dalla strada bagnata. O sì, certo! Vendi l’anima per questo, avanti, stracci colorati puntati con spilli addosso a una pellerossa. Ancora dimmi, ancora dell’altro! Sull’imperiale del tram di Howth solo gridando alla pioggia: donne nude! Che ne dici, eh?
Che ne dici di che cosa? Per che altro sono state inventate?
E quando leggevi due pagine per ciascuno di sette libri ogni sera, eh? Ero giovane. Ti inchinavi a te stesso nello specchio, facendoti avanti a ricevere applausi con grande serietà, un viso notevole. Urrà per il maledetto idiota! Rrà! Nessuno ha visto; non dirlo a nessuno. E quei libri che dovevi scrivere con lettere come titoli. Ha letto il suo F? Ah, sì, ma preferisco Q. Certo ma W è meraviglioso. Ah, sì, W. Ricordi le tue epifanie su verdi fogli ovali, profondamente profonde, copie da mandarsi in caso di morte a tutte le grandi biblioteche del mondo, Alessandria compresa? Qualcuno le avrebbe lette laggiù in capo a qualche migliaio di anni, un mahamanvantara. Simile a Pico della Mirandola. Sì, assai simile ad una balena. Quando uno legge queste strane pagine di uno dipartito da tempo, uno sente di essere tutt’uno con uno che un dì...
La sabbia granita era sparita da sotto i suoi piedi. Le sue scarpe calpestarono ancora un’umida crosciante amalgama petrosa, taglienti gusci di conchiglie, stridule ghiaie, che percote le ghiaie innumerevoli, legno crivellato dal tarlo marino, perduta Armada. Mefitici banchi di sabbia attendevano di risucchiargli le calpestanti suole, esalando tanfate di fogna. Li costeggiò, con cauto passo. Una bottiglia di birra si rizzava,infitta fino alla cintola, nell’impasto grumoso della sabbia. Una sentinella: isola della terribile sete. Cerchi di botte rotti sulla spiaggia; dalla parte di terra un dedalo di oscure reti scaltre; ancor più lontano porte posteriori scarabocchiate di gesso, e su un ripiano più alto del litorale una corda per il bucato con due camicie crocifisse. Ringsend: wigwams di piloti abbronzati e di nostromi. Vuoti gusci umani.


Si fermò. Ho oltrepassato la strada di zia Sara. Allora non ci vado? Pare di no. Nessuno in giro. Si voltò verso nordest e attraversò il tratto di sabbia più solida verso la Piccionaia.
- Qui nous a mis dans cette fichue position?
Patrice, a casa in licenza, lappava latte caldo insieme con me al bar MacMahon. Figlio dell'anatra selvatica, Kevin Egan di Parigi. Ho per babbo un uccelletto, egli lappava il dolce lait chaud con giovane lingua rosata, viso paffuto da coniglietto. Lappare, lapin Spera di guadagnare i gros lots. Sulla natura delle donne ha letto Michelet. Ma mi deve mandare La Vie de Jésus di Léo Taxil. Prestata al suo amico.
- Il croit?
- Mon père, oui.
Schluss. Lappa.
Il mio cappello da quartiere latino. Dio, non rimane che vestirsi in carattere. Ho bisogno di guanti color pulce. Lei era studente, vero? Di che cosa in nome dell’altro diavolo? Peseèn. P. C. N. sa: physiques, chimiques et naturelles. Ah. Ti mangiavi i tuoi quattro soldi di mou en civet, pignatte d’Egitto, preso a gomitate dai vetturini ruttanti. Basta che tu dica col tuo tono di voce più naturale: quando ero a Parigi boul' Mich', avevo l’abitudine di. Sì, di tenere in tasca biglietti forati come alibi in caso mi arrestassero per omicidio in qualche posto. Giustizia. La notte del diciassette febbraio 1904 I’imputato fu visto da due testimoni. E’ stato l’altro: I’altro me stesso. Cappello cravatta, soprabito naso. Lui, c’est moi. Pare che lei si sia divertito.
Passo altero. Chi cercavi di imitare nel camminare? Non ricordo: un diseredato. Col vaglia di mammà otto scellini, la fragorosa porta dell’ufficio postale sbattutami in faccia dall’usciere. Fame come il mal di denti. Encore deux minutes. Guarda orologio. Devo avere. Fermé. Cane prezzolato! Farlo a pezzetti sanguinosi con fucile a pallini, bum, pezzetti uomo spruzzati muri tutto bottoni d’ottone. Pezzetti tutti crrrclac a posto scattati indietro. Niente di rotto? Oh, tutto bene. Qua la mano. Capito cosa volevo, eh? Oh, tutto bene. Una stretta di mano. Oh questo è tutto soltanto tutto bene.
E dovevi far miracoli, eh? Europa sulle orme del focoso Colombano Fiacre e Scoto sui loro sgabelli in cielo sbalzati via dai loro boccali, látinvociando tra le gran risate: Euge! Euge! Fingevi di parlar male l’inglese, trascinando la valigia, tre pence un facchino, attraverso il molo limaccioso a Newhaven Comment? Che po’ po’ di bottino ti sei portato via; Le Tutu, cinque numeri sbertucciati di Pantalon Blanc et Culotte Rouge, un telegramma francese azzurro una curiosità da far vedere:
- Mamma morente torna a casa papà.
La zia pensa che tu abbia ucciso tua madre. Per questo non vuol.
Brindiamo alla zia di Mulligan
E ti dirò perché:
fu lei che tenne sempre in piè
La morale degli Hannigan.
I suoi piedi marciavano in un subito ritmo altero sui solchi della sabbia, lungo i macigni della gittata di mezzogiorno. Li fissò alteramente, caterva di crani di mammuth pietrificati. Luce doro sul mare, sulla sabbia, sui macigni. Il sole è là, gli alberi snelli, le case color limone.


Parigi al risveglio scomposta, cruda luce nelle sue strade color limone. Mollica umida di panini, l'assenzio verderana, il suo incenso mattutino, blandiscon l'aria. Bell’uomo esce dal letto della moglie dell'amante di sua moglie, la massaia col fazzoletto in capo s'affaccenda, con un piattino di acido acetico in mano. Da Rodot, Yvonne e Madeleine restaurano la loro bellezza sbattuta, facendo a pezzi coi denti d'oro gli chaussons di pasta dolce, le bocche ingiallite dal pus di flan bréton. Facce di parigini passano, compiaciuta piacevolezza, arricciolati conquistadores.
Sonnolenza meridiana. Kevin Egan arrotola sigarette di polvere da sparo tra le dita sporche di inchiostro di stampa, sorbendosi la fata verde come Patrice la bianca. Intorno a noi gente s'ingozza forconando per la strozza fagioli pepati. Un demi sétier! Un fiotto di vapor di caffè dalla caldaia brunita dell'espresso. La ragazza mi serve, al suo cenno di comando. Il est irlandais. Hollandais? Non fromage. Deux irlandais, nous, Irlande, vous savez? Ah oui! Lei credeva che tu volessi un formaggio hollandais. Il tuo postprandiale, la conosci questa parola? Postprandiale. C'era un tale che conoscevo, a Barcellona, tempo fa, un tipo curioso che lo chiamava sempre il suo postprandiale. Bene: slainte! Intorno alle tavole dal ripiano di marmo l'intrico di fiati vinosi e gozzi gorgoglianti. Il suo fiato incombe sui nostri piatti macchiati di sugo, la zanna della fata verde gli spunta tra le labbra. D'Irlanda, i Dalcassiani, di speranze, congiure, e ora di Arthur Griffith. Aggiogarmi al suo stesso giogo, i nostri delitti nostra causa comune. Sei figlio di tuo padre. Riconosco la voce. Camicia di fustagno, a fiori color sangue, fa tremar le sue nappe spagnole ai suoi segreti. M. Drumont, famoso giornalista, Drumont, sai come ha chiamato la regina Vittoria? Vecchia strega dai denti gialli. Vieille ogresse dai dents jaunes. Maud Gonne, bella donna, La Patrie, M. Millevoye, Félix Faure, sai come è morto? Uomini licenziosi. La froeken bonne à tout faire, che stropiccia nudità maschili ai bagni di Upsala. Moi faire, diceva, Tous les messieurs. Non questo Monsieur, dicevo io. Usanza molto licenziosa. Il bagno è cosa molto personale. Non permetterei a mio fratello, neppure a mio fratello stesso, cosa molto lasciva. Occhi verdi, vi vedo. Zanna, la sento. Gente lasciva.
L'esca azzurra brucia mortale tra le mani e poi brucia chiara. Sciolti filamenti di tabacco prendono fuoco: una fiamma e fumo acre illuminano il nostro angolo. Zigomi ossuti sotto il suo cappello da ribelle irlandese. Come il capo gruppo se la svignò, versione autentica. Travestito da sposina, caro mio, velo, fiori d'arancio filò via sulla strada di Malahide. Proprio così, davvero. Di capi perduti, i traditi, le frenetiche fughe. Travestimenti, agguantato, sparito, non c'è più.
Innamorato respinto. Ero un bel ragazzotto a quel tempo, te l'assicuro, un giorno o l'altro ti farò vedere il ritratto. Lo ero, davvero. Amante, per amor di lei strisciava col colonnello Richard Burke, capo designato del suo clan, sotto le mura di Clerkenwell, e, accovacciati, videro una fiamma di vendetta scaraventarle in alto nella nebbia. Vetro infranto e muratura crollante. Nella gaia Parì si nasconde, Egan di Parigi, da nessuno ricercato se non da me. Facendo le sue stazioni giornaliere, la misera cassetta di caratteri tipografici, le sue tre taverne, la tana di Montmartre in cui dorme la breve notte, rue de la Goutte-d'Or, damaschinata dai volti dei trapassati punteggiati di depositi di mosche. Senza amore, senza terra, senza moglie. E lei se ne sta tutta carina e comoduccia senza il suo uomo proscritto, madame, in rue Gît-le-Cœur, canarino e due caproni pensionanti. Guance di pesca, gonnella zebrata, arzilla come quella di una ragazzina. Respinto ma non disperato. Dica a Pat che mi ha visto, le spiace? Volevo trovare un posto al povero Pat, una volta. Mon fils, soldato della Francia. Gli ho insegnato a cantare I ragazzi di Kilkenny sono prodi fegatacci. La conosce la vecchia canzone? Gliel'ho insegnata a Patrice. La vecchia Kilkenny: san Canice, il castello di Strongbow sul Nore. Fa così.
Oh, oh. Lui mi prende,
Napper Tandy, per la mano.
Oh, oh i ragazzi di
Kilkenny…
Debole mano consunta sulla mia. Loro hanno dimenticato Kevin Egan, non è lui che ha dimenticato loro. Ricordandoti, o Sionne.

quadro 7°: Stephen cammina sull'orlo del mare

S'era avvicinato all'orlo del mare e sabbia umida gli schiaffeggiava le scarpe. La brezza nuova lo salutò, arpeggiando su nervi selvaggi, vento d'aria selvaggia di semi di splendore. Ehi, non sto mica camminando fino alla nave faro di Kish, per caso? Si fermò all'improvviso, mentre i piedi cominciavano ad affondare lentamente nel terreno tremulo. Tornare indietro.
Voltandosi, scrutò la costa a sud, mentre i piedi ricominciavano ad affondare lentamente in nuove buche. La fredda stanza a cupola della torre attende. Attraverso i barbacani i raggi di luce si muovono sempre, lentamente sempre come i miei piedi affondano, strisciando verso il crepuscolo sulla meridiana del pavimento. Azzurro crepuscolo, cader della notte, notte azzurra profonda. Nell'oscurità della cupola attendono le sedie spinte all'indietro, la mia valigia un obelisco, attorno a un desco di piatti abbandonati. Chi per sparecchiarlo? La chiave l'ha lui. Non ci andrò a dormire quando calerà questa notte. Porta chiusa d'una torre silenziosa che chiude in un avello i loro corpi ciechi, il sahib della pantera e il suo cane da punta. Chiamo: nessuna risposta. Estrasse i piedi dal risucchio e tornò indietro lungo la gettata di macigni. Prendere tutto, tenere tutto. La mia anima cammina con me, forma delle forme. Così nel cuore delle veglie della luna misuro il sentiero sulle rocce, in nero argenteo, ascoltando il flutto tentatore di Elsinore.
Il flutto mi sta seguendo. Di qui posso osservarlo scorrere. Torna allora per la strada di Poolberg verso la spiaggia laggiù. Si inerpicò sui carici e le filandre anguillose e si sedette su un panchetto di roccia, appoggiando il bastone in un anfratto.
La carcassa enfiata di un cane giaceva abbandonata sui sargassi. Davanti a lui lo scalmiere d'una barca affondata nella sabbia. Un coche ensablé, Louis Veuillot chiamava così la prosa di Gautier. Queste grevi sabbie sono linguaggio che la marea e il vento hanno stacciato qui. E là i tumuli di morti costruttori, una garenna di topidonnola. Nasconderci dell'oro. Provaci. Ne hai. Sabbie e sassi. Gravi di passato. Gingilli per Sir Lout. Bada che non te ne arrivi uno dritto sulla testa. Io sono il gigante fottuto che rotola giù tutti sti macigni fottuti, ossa per sassi da guado. Ucci ucci. Sssento odor d'irlandesucci.
Un puntolino, un cane vivo, ingrandiva a vista d’occhio attraverso la distesa di sabbia. Signore, mi si avventerà contro? Rispetta la sua libertà. Non sarai padrone degli altri o loro schiavo. Ho il bastone. Rimani seduto. Più lontano, in cammino verso la spiaggia dalla marea crestata, figure, due. Le due marie. L'hanno rimboccato al sicuro fra i giunchi. Cucù. Ti vedo. No, il cane. Ritorna di corsa verso di loro. Chi?
Le galere dei Lochlann qui approdavano in cerca di preda, con le prue dal rostro sanguinoso che sfioravano la spuma di stagno fuso. Vichinghi danesi, con collari di accette luccicanti sui loro petti al tempo in cui Malachi portava una collana d'oro. Un branco di balenotteri arenati nel caldo meriggio, spruzzano zampilli, voltolandosi sulle secche. Poi dalla famelica città di gabbie un'orda di nani in giubbe di cuoio, la mia gente, con coltelli da scotennatori, che corrono, danno la scalata, trinciano la verde gelatinosa carne di balena. Carestia, peste ed eccidi. Il loro sangue è in me, le loro libidini le mie onde. Mi mossi tra loro sulla Liffey ghiacciata, quell'io, scambiato nella culla, in mezzo allo sfrigolio dei fuochi di resina. Io non ho parlato a nessuno: nessuno a me.

quadro 8°: Il cane (pagina 86) ("sua Paura dell'acqua" a confronto col Coraggio di Buck" paragonato ai pretendenti medievali)http://www.joyceproject.com/notes/030058pretenders.htm

Il latrato del cane corse verso di lui, si fermò, tornò indietro di corsa. Cane del mio nemico. Rimasi semplicemente ritto, pallido, silenzioso, alle strette. Terribilia meditans. Un giustacuore color primula, il fante della fortuna, sorrise della mia paura. Per questo ti stai angustiando, il latrato dei loro applausi? Pretendenti: vivere la loro vita. llfratello di Bruce, Thomas Fitzgerald, vellutato cavaliere, Perkin Warbeck, falso rampollo di York, in calzoni di seta color avorio bianco rosa, meraviglia d'un giorno, e Lambert Simnel, con un codazzo di sguatteri e vivandieri, lacchè coronato. Tutti figli di re. Paradiso dei pretendenti allora e oggi. Lui salvò uomini che annegavano e tu tremi all'uggiolìo d'un cane bastardo. Ma i cortigiani che beffarono Guido in Or san Michele erano a casa loro. Casa di... Non sappiamo che farcene delle tue astrusaggini medievali. Faresti quel che ha fatto lui? Ci sarebbe una barca vicina, un salvagente. Natürlich, messi là apposta per te. Allora, si o no? L'uomo che annegò nove giorni fa al largo di Maiden's Rock. Lo stanno aspettando adesso. La verità, sputala fuori. Lo vorrei. Proverei. Non sono un gran nuotatore. Acqua fredda cedevole. Quando ci tuffavo il viso nel catino a Clongowes. Non ci vedo! Chi c'è dietro di me? Fuori, presto presto! Vedi la marea che rifluisce prestamente da tutte le parti, invetriando i bassofondi sabbiosi, presto, color bacca di cacao? Se avessi terra sotto i piedi. Voglio che la sua vita continui a esser sua, la mia a esser mia. Un uomo che annega. I suoi occhi umani mi urlano dall'orrore della sua morte. Io... Con lui affondando insieme... Non potevo salvarla. Acque: amara morte: perduta.
Una donna e un uomo. Le vedo le gonnelle.
Tirate su con gli spilli, scommetto.
Il loro cane trotterellava all'ambio attorno un banco di sabbia rósa dal mare, annusando da tutte le parti. In cerca di qualcosa perduta in una vita precedente. A un tratto partì come una lepre a balzi, orecchie tese indietro, inseguendo l'ombra di un gabbiano in volo radente. Il fischio stridulo dell'uomo gli colpì le orecchie flosce. Si voltò, balzò indietro, si fece più vicino, trotterellò, su cosce balenanti. In campo scuro un cerbiatto, saltante a colori naturali, senza bardatura. Al bordo trinato della marea si fermò rigido sugli zoccoli anteriori, orecchie puntate verso il mare. Grugno levato, abbaiava contro il rumore delle onde, greggi di trichechi. Serpeggiavano verso i suoi piedi, arricciolandosi, dispiegando molte creste, di nove in nove frangendosi, spruzzando, di lontano, ancor più di lontano, onde su onde.
Raccoglitori di telline. Guadarono un breve tratto nell'acqua e, chinandosi, immersero i sacchi, e, rialzatili, guadarono a riva. Il cane abbaiò correndo verso di loro, si rizzò e fece le feste; ricaduto sulle quattro zampe, si rizzò di nuovo verso di loro con mute moine da orso. Senza che nessuno si curasse di lui si tenne al loro fianco mentre si avvicinavano alla sabbia più asciutta, uno straccio di lingua lupesca rossoansimante tra le mascelle. Il suo corpo maculato li precedette all'ambio e poi si slanciò in un galoppo da vitello. La carcassa era sulla sua strada. Si fermò, annusò, aggirò cautamente, fratello, annusando più da vicino, girò intorno, fiutando rapido caninamente tutt'in giro l'immonda spoglia del cane morto. Cranio canino, fiuto canino, occhi a terra, muove verso un'unica grande meta. Ah, povero corpo d'un cane. Qui giace il corpo d'un povero corpodicane.
- Cencio! Via di là, bastardaccio.
L'urlo lo fece tornare quatto quatto dal padrone e un sordo calcio del piede scalzo lo fece volare incolume attraverso una lingua di sabbia, rannicchiato nel volo. Tornò furtivo descrivendo una curva. Non mi vede. Lungo l'orlo della gettata, saltellò, si gingillò, annusò una roccia e di sotto la gamba posteriore sollevata ci pisciò sopra. Trottò avanti e, alzando la zampa posteriore, pisciò presto breve contro una roccia non fiutata. I semplici piaceri dei poveri. Le zampe di dietro poi sparpagliarono sabbia: poi quelle davanti rasparono e scavarono. Qualcosa che ha sepolto lì, sua nonna.Grurolò nella sabbia, raspando, scavando, poi si fermò ad ascoltare l'aria, raschiò di nuovo la sabbia con furia d'artigli, smettendo presto, un pardo, una pantera, concepito in adulterio, avvoltoio di morti.

quadro 9°

Dopo che mi ha svegliato la notte scorsa lo stesso sogno, o no? Aspetta. Androne aperto. Strada di sgualdrine.Ricorda. Harun al Raschid. Quasi ci sono. Quell'uomo mi guidava, parlava. Non avevo paura. Quel suo melone me lo teneva contro la faccia. Sorrideva: odore di frutto dolciastro. Quella era la regola, disse. Dentro. Venga. Tappeto rosso steso. Vedrà chi.
Sacco in spalla camminavano faticosamente, i rossi Egizi. I piedi di lui illividiti fuor dai calzoni rimboccati schiaffeggiavano la sabbia umidiccia, una sciarpa d'un cupo color mattone gli strangolava il collo mal rasato. Con passo donnesco lei lo seguiva: il malandrino e la sua vaga girovaga. Il bottino buttato sulla schiena. Sabbia granulosa e detriti di conchiglie le incrostavano i piedi nudi. Attorno al viso irruvidito dal vento le pendevano i capelli. Dietro il suo signore, sua compagna, batte la strada alla ventura verso la capitale. Quando la notte nasconde le magagne del suo corpo adesca di sotto il suo scialle marrone da un andito lordato dai cani. Il suo damo paga da bere a due soldati del Royal Dublins da O'Loughlin di Blackpitts. Sbaciucchiarla, nel gergo furbesco dei malandrini baldirla, oh, per la mia bona roba baldente. Un candore di diavolessa sotto gli stracci rancidi. Vicolo Fumbally quella notte: puzzi di conceria.
Dilettazione morosa la chiama l'Aquinate pancia d'otre, frate porcospino. Prima della caduta Adamo montava e non s'infoiava. Lascia che la chiami: e il brulaccio delicato. Linguaggio per nulla peggiore del suo. Parole fratesche, chicchi di rosario ciangottano nelle loro cintole: parole furbesche, pepite dure chiocciolano nelle loro scarselle.
Ora passano.
Un'occhiata sghemba al mio cappello amletico. Se fossi tutt'a un tratto nudo qui dove siedo? Non lo sono. Attraverso le sabbie di tutto il mondo seguito dalla spada fiammeggiante del sole, verso occidente, marciando verso terre occidue. Lei strascica, sleppa, traina, tira, rimorchia il suo fardello. Una marea occidua, attratta dalla luna, nella sua scia. Maree, tempestata da isole a miriadi, in lei, sangue non mio, oinopa ponton, un mare cupovinoso. Ecco l'ancella della luna. Nel sonno l'umido segno annuncia l'ora, le impone di alzarsi. Letto di sposa, letto di parto, letto di morte, con candele spettrali. Omnis caro ad te veniet. Viene, pallido vampiro, attraverso tempeste i suoi occhi, le sue vele di pipistrello incruentano il mare, bocca al bacio della sua bocca.
Ecco. Le dispiace fissarlo subito con uno spillo? Le mie tavolette. Bocca al suo bacio. No. Ce ne vogliono due. Incòllale a modo. Bocca al bacio della sua bocca.
Le sue labbra labbreggiarono e boccheggiarono scarnite labbra d'aria; bocca al suo grembo. Onbo, tomba omnigrembo. La bocca di lui foggiò l'alito uscente, inarticolato: uu aah: ruggito di pianeti a cateratte, globosi, incandescenti, ruggenti viaviaviaviavia. Carta. Le banconote, all'inferno. Lettera del vecchio Deasy. Ecco. Ringraziandovi dell'ospitalità strappa il pezzo rimasto in bianco. Voltando le spalle al sole si chinò giù su una tavola di roccia e scribacchiò parole. Già la seconda volta che mi scordo di prendere i moduli dal banco della biblioteca.

quadro 10°

La sua ombra si stendeva sulle rocce, mentre, curvo, finiva. Perché non infinito fino alla più lontana stella? Oscuramente sono là dietro questa luce, tenebra splendente nella luce, delta di Cassiopea, mondi. Me seduto là con la verga augurale di frassino, con sandali presi a prestito, di giorno presso un mare livido, incontemplato, nella notte violacea a passeggio sotto un reame di stelle misteriose. Getto da me quest'ombra finita, ineluttabile umana forma, la richiamo a me. Infinita, sarebbe mia, forma della mia forma? Chi mi vede qui? Chi mai dovechessia leggerà queste parole scritte? Segni in campo bianco. A qualcuno in qualche posto con la tua voce più flautata. Il buon vescovo di Cloyne estrasse il velo del tempio dal suo galero: velo dello spazio campìto di emblemi colorati. Tieni duro. Colorati su un piano: Sì, giusto. Piatto io vedo, poi penso la distanza, vicino, lontano, piatto io vedo, est, indietro. Ah, ora vedo. Ricade dietro a un tratto, irrigidito in stereoscopio. Clic ed è fatto. Voi trovate oscure le mie parole. L'oscurità è nelle nostre anime, non vi pare? Più flautata. Le nostre anime ferite di vergogna dai nostri peccati, si avvinghiano a noi ancor più, una donna avvinghiata al suo amante, tanto più quanto più.
Si fida di me, la sua mano morbida, gli occhi dalle lunghe ciglia. Ora dove diavolo la sto portando di là dal velo? Nella ineluttabile modalità dell'ineluttabile visualità. Lei, lei, lei. Quale lei? La vergine nella vetrina di Hodges Figgis lunedì in cerca di uno di quei libri alfabetici che tu dovevi scrivere. Che occhiata penetrante le hai dato. Il polso attraverso al lacciuolo intrecciato del parasole. Vive a Leeson Park, con una pena e ninnoli, donna di lettere. Parlane con qualcun'altra, Stefanuccio: un tipetto abbordabile. Scommetterei che porta quel busto reggicalze castigo di Dio e calze gialle, rammendate con lana bozzolosa. Parla di polpette di mele, piuttosto. Dove hai il cervello?
Toccami. Occhi morbidi. Mano morbida, morbida morbida. Mi sento solo qui. Oh, toccami presto, ora. Qual è quella parola nota a tutti gli uomini? Sono tranquillo qui solo. E triste. Toccami, toccami.
Si stese supino sulle rocce acuminate, zeppandosi in tasca il biglietto scribacchiato e la matita, col cappello abbassato sugli occhi. È il movimento di Kevin Egan questo che ho fatto quando comincia a sonnecchiare, riposo sabbatico. Et vidit Deus. Et erant valde bona. Pronto! Bonjour, benvenuto come i fiori di maggio. Di sotto la tesa guardava attraverso ciglia tremule come penne di pavone il sole che muoveva verso il sud. Son còlto in questa scena cocente. L'ora di Pan, il faunesco meriggio. Tra le piante serpenti grevi di resina, frutta trasudanti latice, dove sulle onde fulve ampie si stendono le foglie. Il dolore è lontano.
Il suo sguardo si posò meditabondo sulle scarpe dalla punta quadrata, scarti di un cerbiatto, nebeneinander. Contò le pieghe del cuoio raggrinzito là dove un piede altrui si era annidato caldo. Il piede che batteva il terreno in tripudio, piede che mi è discaro. Ma fosti felice quando ti riuscì d'infilare la scarpa di Esther Osvald: ragazza che conoscevo a Parigi. Tiens, quel petit pied! Amico a tutta prova, anima gemella: l'amore di Wilde che non osava dire il suo nome. Ora mi lascerà. Colpa di chi? Son fatto così. Son fatto così. O tutto o nulla.

quadro 11°.

In lunghi lassos dalla vescica di Cock l'acqua rifluiva in piena, ricoprendo verdidorate lagune di sabbia, salendo, rifluendo. Il mio bastone galleggerà via. Aspetterò. No, scorreranno, scorrendo ribollenti contro le rocce basse, turbinando, scorrendo. Meglio finire questa faccenda presto. Ascolta: una frase ondosa di quattro parole: siisuu, hrss, rssiiiss uuus. Alito veemente di acque fra serpenti marini, cavalli impennati, rocce. In coppe di roccia sguazza: plop, blop, blap: imbrigliata in barili. E, esausto, il suo discorso cessa. Fluisce barbugliando, fluendo possente, fiottando fiocchi di spuma, fiore sbocciante.
Sotto la marea montante vide le alghe contorte sollevare languidamente e ondulare braccia riluttanti, alzando le gonnelle, nell'acqua sussurrante ondulando e altovolgendo timide fronde argentee. Giorno per giorno: notte per notte: sollevate, inondate, lasciate cadere. Signore, sono spossate: e, in risposta al sussurro, sospirano. Sant'Ambrogio lo udì, il sospiro di foglie e di onde, mentre aspettavano, attendevano la pienezza dei loro tempi, diebus ac noctibus iniurias patiens ingemiscit. Senza alcun fine raccolte: poi vanamente liberate, fluttuanti in avanti, indietro rivolgenti: telaio della luna. Spossata anche lei alla vista di amanti, uomini lascivi, donna ignuda risplendente nelle sue regge, ella trae a sé una rete d'acque.
Cinque tese laggiù. A cinque tese tuo padre giace. All'una disse. Rinvenuto annegato. Alta marea alla barra di Dublino. Spingendo davanti a sé un ammasso di detriti alla deriva, banchi a ventaglio di pesciolini, sciocche conchiglie. Un cadavere che sorge biancosalino dalla risacca, ballonzolando verso terra, passo passo un marsuino. Eccolo là. Uncìnalo presto. Benché sia sprofondato sotto l'equoreo piano. Lo teniamo. Piano ora.
Sacco di gas cadaverici mézzo di marcia salmastra. Un brulichìo di pesciolini, grassi del bocconcino spugnoso, sprizza fuori dalle fessure della patta abbottonata. Dio diventa uomo diventa pesce diventa oca bernacla diventa montagna del letto di piuma. Aliti morti io vivente respiro, calco morta polvere, divoro i rifiuti urinosi di tutti i morti. Issato rigido sopra lo scalmiere rifiata all'insù il tanfo della sua tomba verde, con le nari lebbrose che russano al sole.
Vieni. Ho sete. Si rannuvola. Nessuna nube nera in nessun luogo, vero? Temporale. Tuttoluce egli cade, superba folgore dell'intelletto, Lucifer, dico, qui nescit occasum. No. Il cappello col nicchio e il bordone e suoi i miei sandali calzari. Dove? Verso terre occidue. L'occaso si troverà.
Afferrò l'elsa del bastone, accennando leggermente qualche finta, gingillandosi ancora. Sì, l'occaso si troverà in me, fuor di me. Ogni giorno ha la sua fine. A proposito, quando è la prossima? Martedì sarà il giorno più lungo. Di tutto quel lieto anno nuovo, mammà, taratà, taratà, taratà! Lawn Tennyson, poeta gentiluomo. Già. Per la vecchia strega dai denti gialli. E Monsieur Drumont, giornalista gentiluomo. Già. I miei denti sono molto guasti. Chissà perché? Sentili. Anche quello se ne sta andando. Gusci vuoti. Dovrei andare dal dentista, mi domando, con quei soldi? Quello. Kinch sdentato, il superuomo. Perché mai vorrei sapere, o c'è forse un significato?
Il mio fazzoletto. L'ha buttato. Mi ricordo. Non l'ho raccolto?
La mano frugò invano nelle tasche. No. non l'ho raccolto. Meglio comprarne uno.
Depose su un ripiano di roccia il moccio secco che si era cavato dal naso, con cura. Del resto guardi pure chi vuole.
Dietro. Forse c'è qualcuno.
Girò il volto sulla spalla, retro riguardante. Si muovevano nell'aria gli alti pennoni d'un tre alberi, con le vele imbrogliate alle crocette, diretto al porto, controcorrente, muovendo silenziosamente, nave silenziosa.

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8/8/15

Link alla lettura dell'intero 3° episodio
Mia lettura ad altavoce
Playlist di YT
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3°Episodio di Ulisse"Proteo"  pag.72/73 
"Cinque tese laggiù. A cinque tese tuo padre giace. All'una disse. Rinvenuto annegato. Alta marea alla barra di Dublino. Spingendo davanti a sé un ammasso di detriti alla deriva, banchi a ventaglio di pesciolini, sciocche conchiglie. Un cadavere che sorge biancosalino dalla risacca, ballonzolando verso terra, passo passo un marsuino. Eccolo là. Uncìnalo presto. Benché sia sprofondato sotto l'equoreo piano. Lo teniamo. Piano ora.
Sacco di gas cadaverici mézzo di marcia salmastra. Un brulichìo di pesciolini, grassi del bocconcino spugnoso, sprizza fuori dalle fessure della patta abbottonata. Dio diventa uomo diventa pesce diventa oca bernacla diventa montagna del letto di piuma. Aliti morti io vivente respiro, calco morta polvere, divoro i rifiuti urinosi di tutti i morti. Issato rigido sopra lo scalmiere rifiata all'insù il tanfo della sua tomba verde, con le nari lebbrose che russano al sole.
Trasformazione marina, questa, occhi castani azzurrosalino. Morte marina, la più mite di tutte le morti note all'uomo. Il vecchio Padre Oceano. "


cinque leghe sott'acqua 
giace tuo padre.
citazione da Shakespeare
è un tormentone che deriva da un  verso, in La Tempesta  di Shakespeare Il suo contesto originale, durante una tempesta e naufragio, è l'annegamento, in acqua circa 30 piedi (cinque Fathoms ) profondo, del padre del personaggio a cui i versi sono rivolti.
Questa frase di tre parola  è stato usato ripetutamente nella coltura in lingua inglese, da sola o nell'ambito di parti più grandi o l'intero passaggio o menzionate, nei quattro secoli dalla sua composizione.
Full Fathom Five
Ninfe del mare guardano il corpo del padre di Ferdinando
dipinto di Edmund Dulac
Fonte library wustl edu

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https://en.wikipedia.org/wiki/Three_Shakespeare_Songs


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Full fathom five thy father lies
Of his bones are coral made
Those are pearls that were his eyes
Nothing of him that doth fade
But doth suffer a sea-change
Into something rich and strange, 
Sea-nymphs hourly ring his knell
Hark, now I hear them, ding-dong, bell

Credits
Writer(s): Mary Rodgers, William Shakespeare
Copyright: Williamson Music CO.-A Div. Of Rodgers And Hammerstein
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Appunti scritti da Giorgio Strehler sulla Tempesta 
per Fiorenzo Carpi 

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L'assenzio
La Fata Verde

"Sonnolenza meridiana. 
Kevin Egan arrotola sigarette di polvere da sparo 
tra le dita sporche di inchiostro di stampa, 
sorbendosi la fata verde 
come Patrice la bianca."


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